Ultimi giorni per visitare, presso il Palazzo di Città a Cagliari, l’esposizione Eurasia. Fino alle soglie della Storia (catalogo Silvana Editoriale) che si concluderà domenica 10 aprile. La rassegna, promossa dal Comune di Cagliari-Musei Civici e dal Museo Statale Ermitage di San Pietroburgo con Mibact, Soprintendenza Archeologia e Polo Museale della Sardegna, si inscrive nell’ambito di Cagliari Capitale Italiana della Cultura 2015 ed è il primo atto di un progetto triennale tra la città del sud Sardegna e la prestigiosa istituzione russa.
A cura di Yuri Piotrovsky, Marco Edoardo Minoja e Anna Maria Montaldo, Eurasia racconta – attraverso cinquecento oggetti datati tra V e I millennio a.C. – le rivoluzioni che hanno accomunato i popoli del Caucaso e gli abitanti dell’isola dei nuraghi. Ciò che colpisce di questa mostra è l’allestimento di Angelo Figus, stilista e designer, che s’impone per creatività e poesia come una vera e propria installazione d’arte. I reperti, tutti bellissimi e tirati a lucido (alcuni in eccesso, da sembrare appena usciti da una boutique Cartier) sono declinati in quattro aree tematiche, che rappresentano diverse forme di dialogo tra uomo e natura.

La prima sezione – tuttigiorni – è disseminata da casette in cristallo, che emergono da un basamento con spighe in altorilievo. Non le classiche vetrine, dunque, ma l’astrazione di un simbolo che, nel Neolitico, segnò il passaggio dal nomadismo alla sedentarietà. Dentro i rifugi ideati da Figus trovano posto strumenti del quotidiano e vasi in ceramica. Siedono inoltre con le mani sui fianchi o al petto piccole figurine di dee madri in pietra, osso, argilla e alabastro, perché – dalle regioni del Nord asiatico al cuore del Mediterraneo – lavorare la terra era anche un culto alla fertilità. Poi irruppero i metalli, «pietre magiche» che non fecero sparire devozione e preghiere ma a Oriente come a Occidente determinarono un significativo cambiamento sociale e politico. In questo contesto – illustrato nella sezione rivoluzionemetalli – fiorì l’artigianato, aumentò la richiesta di beni di prestigio e i teli del baratto furono spazzati via dal vento del commercio.
Qui lo scenario realizzato da Figus si tinge di ferro e fuoco, divenendo fucina in cui risuonano martello e incudine, insegne del nuovo potere economico. Pregevoli le armi esposte in questo settore. I sistemi di produzione e l’incremento della ricchezza finirono per tracciare solchi all’interno delle comunità, marcando distinzioni fra i membri in vita e morte, come rivelano i superbi corredi funerari della cultura Maikop. Poterevanitas – la terza tappa dell’esposizione – è una bianca selva di vetrine provviste di specchi, i quali riflettono con caleidoscopico gioco lo splendore dei gioielli provenienti dalla collezione dell’Ermitage e il fascino misterioso dei bronzetti sardi.

L’ultima sezione – bovemachina – è dedicata al rapporto tra l’uomo e gli animali: cervo, cavallo, ma soprattutto toro sono idoli in bronzo – in oro, invece, un magnifico esemplare dall’Ermitage – che oscillano nelle ruote sospese concepite da Figus affinché il visitatore, toccandole, possa perpetuarne la forza motoria. Al termine del percorso si ha l’impressione di aver viaggiato a lungo tra steppe e mari, appagando lo sguardo senza tuttavia accrescere il proprio bagaglio di conoscenze. Eurasia non riesce a rendere chiare le differenze fra le due grandi civiltà preistoriche in mostra, appiattendo tutto su una somiglianza a tratti fittizia. Un’occasione persa per far combaciare un allestimento originale e suggestivo con una narrazione archeologica altrettanto «parlante».