È uscito un libro che raccoglie studi, opinioni, dialoghi attorno a un albero monumentale, una delle querce più note e ammirate d’Italia: la quercia di Tricase (Salento). Si tratta di una quercia vallonea (Quercus ithaburensis subsp. Macrolepis), specie mediterranea che si caratterizza per una chioma folta e vasta e per la produzione di ghiande molto grandi, rispetto ad altre querce comuni in Italia, quali la rovere, la roverella, il leccio o la farnia. Si racconta che questo albero cresca da diversi secoli, c’è chi ipotizza settecento, chi ottocento, chi addirittura novecento anni. Il suo nome comune, Quercia dei cento cavalieri, nasce dal riparo che diede a cento cavalieri al seguito di Federico II (1194-1250), l’uomo delle sei lingue, re di Sicilia e imperatore del Sacro Romano Impero. Su questa credenza nutriamo pure più di un dubbio, ma poco importa, i grandi alberi spesso sono accompagnati da racconti di episodi iperbolici, lo stesso vale, ad esempio, per il castagno dei cento cavalli sulle pendici dell’Etna o il platano dei cento bersaglieri a Caprino Veronese.

Il duo artistico Flatform realizza video-documentari e opere d’arte visiva che sono stati accolti da molti musei e fondazioni d’arte contemporanea in giro per il globo. La scorsa estate una loro opera dal titolo Storia di un albero / History of a Tree, prodotta dal Museo Nazionale del Cinema col sostegno dell’Italian Council del Mibact, era in visione presso la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino. In una stanza dalle pareti bianche una macchinario industriale ruotava su se stesso e proiettava in diversi punti il ritratto multimediale dedicato alla quercia di Tricase.

Un drone viaggiava all’interno e all’esterno del grande albero, attraversando le stagioni e dunque amplificando una visione quasi impossibile dell’albero stesso; chi pratica infatti l’arte della fotografia conosce le difficoltà di cogliere l’unicità visiva di un grande albero, se preferire la matericità del tronco o la vastità e la profondità delle chiome, se puntare al dettaglio botanico, al ramo spezzato, alla grotta silente che lo sta svuotando oppure all’insieme, alla visione magari di un uomo ai piedi di questi giganti viventi. La rotazione del video tramite macchina, curiosamente amplificava la visione del video stesso, come se l’albero vivesse due volte, o fosse ripreso da angoli diversi nello stesso istante. Un’impressione, arricchita dai canti in diverse lingue che sono stati realizzati appositamente, a testimonianza della lunga storia umana transitata sotto le foglie della quercia.

Il libro che ne è nato, pubblicato da Silvana in una curatissima edizione bilingue (italiano/inglese), accoglie il frutto della collaborazione di Flatform con studiosi e pensatori, fra i quali i filosofi Emanuele Coccia e Daniele Poccia, lo storico dell’arte Riccardo Venturi, il glottologo Salvatore De Masi, il botanico Piero Medagli, gli storici Mario Spedicato e Luisa Cosi, il linguista Marcello Aprile, le professoresse Rosita D’Amora (lingua e cultura turca) e Monica Genesin (lingua e letteratura albanese), l’antropologo Eugenio Imbriani, l’ebraicista Fabrizio Lelli, la francesista Marcella Leopizzi. E vi spunta anche un minimo racconto dendrosofico da homo-radix, dal titolo, in verità un po’ pomposo, Appunti e semi a proposito di una doctrina gigantea. Buone ghiande a voi.