C’era una volta il romanzo d’avventura: il protagonista si spingeva verso terre e mari lontani e mai visti prima per portare a compimento un’impresa. Se poi di mezzo ci si metteva il mare, le cose si complicavano e le insidie si facevano ancora più ardue. Di libri del genere non se ne scrivono più molti e quando se ne incontra uno lo si pilucca come una rarità. Nel caso di La notte negli occhi di Francesco Baucia (Lindau, pp. 175, € 14,00) i golosi della buona e onesta scrittura romanzesca hanno di che rallegrarsi. Ma motivo di soddisfazione ancora maggiore proverrà dalle file dei conradiani di ferro: come non di rado avviene nei romanzi del Novecento, l’intelaiatura narrativa rinnova infatti quella di Cuore di tenebra, vertice del genio di Joseph Conrad, autore cui del resto Baucia rende un tributo esplicito e al quale rimandano vari motivi presenti nel testo.
Viene qui presentata una storia che ricostruisce romanzescamente la sorte di Ludwig Fischer, il figlio illegittimo di Hegel. Anni dopo averlo allontanato da sé per i suoi comportamenti riprovevoli, privandolo anche del proprio cognome, il filosofo incarica il protagonista, un medico, di rintracciarlo. Ludwig è un reietto, ma il «Grand’uomo» soffre per la lontananza di un figlio che lui stesso ha condannato all’esilio. Il giovane, che ha fatto perdere le tracce di sé a Giava, ha compiuto sotto i cieli indonesiani altri atti criminosi e quando viene raggiunto una penosa malattia lo ha ormai consumato e muore assistito proprio dal protagonista.
Al ritorno a Berlino verranno svelati i segreti della famiglia di Hegel e la narrazione tocca il cuore più fondo di una vicenda nella quale la verità storica si trova al cospetto di altre verità, meno documentabili, ma non per questo meno fondate, come confermato anche dal passo hegeliano posto in esergo.
Di marca conradiana anche la scelta di filtrare gli eventi attraverso la rievocazione di una voce narrante, quella del protagonista, anch’egli in fuga dal passato, che non di rado indugia nella rappresentazione dei propri pensieri e dei propri stati d’animo, scelta che getta un alone sui contorni delle vicende riferite.
Ma non c’è dubbio che La notte negli occhi appartenga al nostro tempo e non a quello degli autori cui Baucia pure guarda (oltre a Conrad, Poe e Stevenson). Ed è subito evidente come la ricerca di Ludwig sia il ‘compito’ che consente al medico di intraprendere a sua volta il viaggio risolutivo della propria vita, un viaggio che lo porta davanti allo specchio nel quale fissare la propria condizione. La strana spossatezza che lo percuote, l’inquietudine compagna dell’esistenza vagabonda condotta fino all’incontro con Hegel, il dolore cupo della sua anima trovano, nell’avvicinamento a Ludwig e nel suo riconoscimento, un balsamo che con tutta evidenza null’altro aveva potuto procurare. Allusione trasparente: la nave che lo riconduce a ‘casa’ si chiama «Ulysses».
Il romanzo è leggibile secondo diversi piani di significato: la ricerca di un uomo che si è inabissato in un Oriente misterioso; la lotta tra un padre e un figlio, ciascuno irriducibile alle ragioni dell’altro; la fredda sofferenza del padre che sanziona e allontana il figlio trasgressore e non si dà pace di questo. Questi piani di lettura concorrono a mettere al centro un unico, complesso problema, il problema squisitamente filosofico della conoscibilità e della comprensibilità del reale e delle sue aporie. Il contrasto tra Hegel e Ludwig ripropone in termini narrativi il rapporto antagonistico insorto tra lo stesso Hegel e, ad esempio, Schopenhauer: o meglio tra l’istanza razionalizzante e la concezione della Natura come entità cieca e inspiegabile. Tra i due va a collocarsi la figura del protagonista, ovvero il personaggio che compie un viaggio di ricerca e poi torna indietro per scoprire che così facendo si è finalmente sciolto il groviglio doloroso della propria personale vicenda. Se Wilhelm Windt è il compagno segreto di Ludwig, Ludwig è il compagno segreto del medico, una figura fantasmatica e reale, l’ombra nella quale si annida tutto ciò che la luce della ragione scaccia.
Ed è perciò abbastanza naturale intendere nel ritmo lento che segna la scrittura di Baucia, alla sua seconda prova narrativa, il riflesso dell’elaborazione compiuta dal protagonista quando l’ordine razionale (è un medico) viene infranto dall’accidente (il lutto familiare che lo angustia). Essere gettato fuori dal quadro dell’ordine equivale a sperimentare la dispersione e l’inquietudine, stigma della sua vita di vagabondo del mare. Dispersione e inquietudine che vengono infine affrontati e superati grazie all’incarico commissionato dal filosofo. Che padre e figlio per una inspiegabile coincidenza vadano a morire a poche settimane di distanza e all’insaputa l’uno dell’altro (come è effettivamente avvenuto in questo caso) lascia intendere che la ‘soluzione’ non può essere di ordine universale, ma solo e drammaticamente individuale e perciò contingente.