Oltre mezzo milione di vittime, quattromila delle quali sterminate in un solo giorno, il 2 agosto del 1944 quando venne liquidato lo Zigeunerlager (campo degli zingari) del campo di Auschwitz-Birkenau che al momento ospitava soprattutto donne e bambini. È questa la data scelta per celebrare ogni anno il Porrajmos («divoramento» in lingua romanì): la giornata in ricordo del genocidio dei Rom e Sinti perpetrato dai nazisti e dai loro collaboratori di tutta Europa. Una ricorrenza resa se possibile ancor più tragica dal fatto che i pregiudizi e le discriminazioni che prepararono la strada alle camere a gas sono ben presenti nelle nostre società.

COSÌ, ANCHE L’ANNIVERSARIO di ieri ha unito il ricordo di ciò che accadde oltre settant’anni fa con le minacce di oggi. Inevitabile viste le proposte e i toni che la politica italiana mette in campo nei confronti di Rom e Sinti. Non a caso, per la presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Noemi Di Segni, il ricordo del Porrajmos, «ha ancora molto da insegnarci». «Questa ferita aperta e che mai potrà rimarginarsi nella coscienza d’Europa parla infatti anche al nostro presente. – spiega la presidente degli ebrei italiani – È un monito, terribile ma anche ineludibile, sulle conseguenze cui possono portare le parole di odio che per secoli hanno attraversato il continente, ottenendo in quegli anni un terreno ancor più fertile per passare dalla teoria ai fatti».

SENZA CHE VENGA NOMINATO in esplicito, è difficile non scorgere in queste parole un riferimento a quel «zingaraccia» pronunciato solo poche ore prime dell’anniversario dello sterminio dal vicepremier Salvini all’indirizzo di una donna Rom, per altro per rispondere ad una minaccia. Invitando non solo alla necessaria vigilanza, Di Segni sottolinea infatti come si debba «intervenire con la massima fermezza davanti «ai nuovi segnali di pericolo che si ripresentano in modo sempre più allarmante anche per l’irresponsabilità di chi, ai più alti livelli istituzionali, continua a soffiare sul fuoco di orrendi pregiudizi».

SULLA STESSA LINEA Ruth Dureghello che guida la più nutrita comunità ebraica del nostro paese, quella di Roma, che sottolinea come proprio una pagina così importante e drammatica «della nostra storia avrebbe dovuto insegnarci l’importanza delle parole e degli effetti che queste producono».

A Salvini è indirizzato esplicitamente anche un editoriale dell’Avvenire, spiegando come «da un ministro si attendono parole decenti e onorevoli». Riferendosi ad alcune recenti uscite del leader leghista, compreso il già citato «zingaraccia», il quotidiano dei vescovi segnala come il ministro dell’Interno «dovrebbe fermarsi un minuto a pensare a un Paese, il suo, il nostro, l’Italia, in cui tutti parlano come lui». E dove «ogni cittadino si sente libero di rispondere a un insulto con un insulto al quadrato o di catalogare – per disprezzarli – gli esseri umani». Quando invece dalle istituzioni dovrebbero arrivare «atteggiamenti che frenino gli istinti peggiori e correggano il linguaggio d’odio».

PERCHÉ, come ricorda la Comunità di Sant’Egidio nel celebrare la giornata del Porrajmos, per altro non ancora inserito nelle commemorazioni ufficiali dalle istituzioni italiane, come chiesto da una petizione online che ha già raccolto decine di migliaia di adesioni (info@kethane.it) la memoria serva invece «da monito per contrastare i comportamenti discriminatori e violenti».