E adesso? Va bene la rabbia, l’amarezza, la voglia di reagire. Ma cosa fare non lo sa nessuno. Tocca al capo condannato dirlo, ma la verità è che non lo sa nemmeno lui. A 24 ore da una mazzata prevista eppure inattesa, Silvio Berlusconi ha in mente una tattica, non una strategia, e nemmeno possono aiutarlo i consiglieri. Tirano in direzioni opposte, la sfida che ha per posta in gioco la decisione del capo essendo ricominciata più che mai violenta. Il Tormentato arriva alla riunione congiunta di tutti i suoi parlamentari, convocata alle 17, poi slittata alle 18, con tanto di obbligo di presenza senza avere ancora deciso cosa fare. Ne esce con quasi altrettanta incertezza
La spallata al governo no, quella, per il momento, non la consiglia nessuno. In tanti vorrebbero, ma tutti capiscono che non si può. Napolitano è stato chiaro, e anche Letta: «Minare la stabilità adesso che si vedono i primi segnali di ripresa sarebbe un delitto». Lo spread non si è impennato, buon segno. Chi, in nome di un interesse di parte, si assume la responsabilità di danneggiare quello del Paese? Argomenti di pura propaganda e in larga misura bugiardi, certo. Ma in campagna elettorale farebbero presa.
Ma anche senza provocare la crisi si può dare battaglia o chinare la testa e sperare che la nottata passi. I prudenti consigliano la prima ipotesi, i bellicosi la seconda. Fosse solo politica scegliere sarebbe meno arduo. Ma ci sono di mezzo le aziende e Gianni Letta, che conosce il suo pollo, non esita a mettere il pesantissimo argomento sul piatto della bilancia: meglio fare un passo indietro oppure la tempesta inizierà a flagellare anche il core business dell’impero politico-aziendale, le reti, le tv, le concessioni. Però anche la controparte ha validi argomenti, uguali e opposti, e nemmeno i capibastone Santanchè e Verdini ci pensano due volte prima di calare gli assi: «Se resti fermo ti sbranano». Lo avevano già detto nei mesi della «pacificazione», i fatti gli hanno dato ragione e Silvio il Traumatizzato lo ripete a molti. Ma nemmeno questo basta a fargli prendere una decisione.
Quando non si sa che fare conviene partire dai pochi punti fermi. Prima di tutto le esequie del Pdl. E’ ora di tornare a Forza Italia, a un partito-movimento leggero, d’opinione, capace di far sognare. E’ un’operazione che deve essere portata a termine in fretta, sia perché non c’è niente di peggio che le trasformazioni lente e sofferte, sia perché nessuno è tanto cieco da non capire che ormai le elezioni sono comunque l’eventualità più probabile. Sarà fatto entro l’autunno.
Poi bisogna dare battaglia sulla giustizia. Nessuno potrà muovere l’accusa di eversione dopo che lo stesso capo dello Stato ha dato il suo beneplacito. E infatti quando Magistratura democratica si oppone a una riforma della giustizia provocata da una sentenza di Cassazione, opzione in effetti anomala, Bondi gli risponde citando appunto il pronunciamento di Napolitano e chiedendo addirittura ai presidenti delle camere di intervenire a muso duro.
Su questo il condannato non può transigere, e poco male se il Pd rischia forte di non poter reggere tanto impatto. Almeno saranno loro a staccare formalmente la spina. Su di loro pioveranno gli strali di re Giorgio del suo primo ministro.
Anche sulla decisione di restare in campo non ci sono dubbi. Già, ma in quale veste? Dimettersi da senatore, come suggerisce Gianni Letta, disinnescherebbe molte mine però suonerebbe come una ammissione di colpa. Dare battaglia all’ultimo voto prima in Giunta poi in aula, e magari addirittura contestare, come fa Giovanardi, la legittimità della decadenza e dell’ineleggibilità vorrebbe dire tenere botta, ma anche rendere impraticabile per il Pd la già scomoda coabitazione.
Stesso identico discorso per le manifestazioni più o meno clamorose che in tanti suggeriscono: presidio di fronte al Quirinale per invocare la grazia, già convocato dal solito “esercito”, fragorose proteste in Parlamento nell’ultima settimana di lavori prima della pausa estiva, la prossima, discorsi incendiari. Tutte cose che servirebbero come il pane in vista di una campagna elettorale ravvicinata, ma, appunto, renderebbero quella campagna elettorale inevitabile perché anche in questo caso un Pd già diviso non sosterrebbe l’urto. Però questo, nonostante tutto, Berlusconi ancora non ha capito se lo vuole o no. Più precisamente, se gli conviene o no.