C’è un’emergenza che riguarda la maternità surrogata in Italia? Ne è convinta la parte di “Se non ora quando” promotrice dell’appello “Che libertà”, che finora ha raccolto 77 firme tra donne e uomini di spettacolo e cultura. Il testo dice tra l’altro: «In Italia è vietata, ma nel mondo in cui viviamo l’altrove è qui».

Quindi non è sufficiente che la legge 40 la vieti nel nostro paese, occorre metterla al bando in Europa, possibilmente nel mondo. Da dove nasce l’emergenza?

Senza dubbio l’allarme viene dalla discussione intorno alla legge sulle Unioni civili, in particolare intorno al punto della cosiddetta stepchild adoption, l’adozione della prole dei partner. Un modo, gridano gli oppositori come Giovanardi, di introdurre in Italia la pratica dell’”utero in affitto” da parte di coppie omosessuali, in particolare gay. Un tipico esempio di omofobia, dicono gli attivisti, un modo per rendere difficile il cammino di una legge di cui l’Italia non riesce a dotarsi, ora in calendario al senato per l’inizio del prossimo anno.

Ma le cose sono realmente in questi termini? Il problema viene dall’introduzione del matrimonio omosessuale, come ha sostenuto di recente la femminista francese Sylviane Agancisky, che considera le madri surrogate le nuove schiave? Il diritto a sposarsi porterebbe tout-court al diritto a essere genitori? A mio parere la questione è molto più ampia, non riguarda solo le coppie gay e il matrimonio omosessuale. E non solo perché a ricorrere alla madre surrogata le coppie omosessuali sono una minoranza, il 20%. Una minoranza molto visibile, peraltro, soprattutto se si tratta di uomini, di maschi. Per impossibilità al mascheramento.

Di quell’80% di coppie eterosessuali, quante dichiarano che i loro figli vengono da un contratto? Forse solo alcune coppie molto anziane, anche loro impossibilitate a nascondersi. In realtà la maternità surrogata interroga tutti: donne, uomini, anche chi non si sogna di farvi ricorso. Riguarda il modo in cui si viene al mondo, di chi sono figli i figli. E certo, i diritti, e i limiti che si incontrano.

Per esempio, la madre. Quante mamme ci vogliono oggi per mettere al mondo una nuova creatura umana? Al tempo delle biotecnologie a disposizione per la procreazione, non si può più dire «di mamma ce ne è una sola». C’è la donatrice di ovuli, c’è la donna che porta avanti la gravidanza, e infine la madre che riconoscerà la creatura come sua. È un fatto sconvolgente, cambia del tutto l’orizzonte simbolico, interiore, intrapsichico. Eppure le giovani donne, nate e cresciute in un mondo in cui le bioteconologie sono a disposizione, pensano e discutono senza eccessivi spaventi della possibilità di congelare i propri ovuli. Le tranquillizza sul proprio futuro, fa sperare che gli ovuli accantonati da ragazza potranno permettere alla donna adulta, che avrà risolto problemi di lavoro e di carriera, di avere quei figli che altrimenti le sarebbero perlomeno difficili, in vicinanza dello scadere dell’orologio biologico. E per chi ragiona in questi termini, non è incongruo pensare che quella gravidanza potrebbe essere “portata” da un’altra donna. Scrivo questo perché penso che l’ascolto sia necessario, di fronte a un cambiamento di questa portata. Solo l’ascolto delle diverse voci può aiutare a districarsi, in quello che è un vero labirinto.

Il Surrogacy Arrangements Act, la legge inglese che regola l’utero in affitto, la prima al mondo, è del 1985. Lascia tutti i diritti a colei che porta a termine la gravidanza, che può decidere di rompere il contratto, di tenere il bambino, di non consegnarlo ai committenti, anche se non c’è parentela biologica. E la maternità surrogata non può essere commercializzata, anche se i “committenti” possono rendere il più confortevole possibile la vita della madre, con doni di varia natura. Leggi simili ci sono in Canada e negli Usa. Mentre sono i paesi asiatici, come l’India o il Nepal, a essere una terra di predazione, fino al confinamento delle gestanti in cliniche che assomigliano a reclusori, per garantirsi la perfezione delle creature che devono nascere. Sfruttamento, riduzione in schiavitù, vendita del corpo o pezzi di corpo. Il neoliberismo entra nei corpi e nella vita, ne ridisegna i contorni.

Credo però che la critica debba essere più profonda, è fin troppo semplice rifiutare lo sfruttamento e così mettersi la coscienza in pace. L’ascolto, per esempio delle esperienze delle famiglie arcobaleno, che parlano di amore e sentimenti. O di donne che sono felici di creare famiglie diverse, che non corrispondono alla classica – e recente nella vicenda umana – famiglia mononucleare. È successo, di potere ascoltare, nella giornata organizzata a Roma un paio di settimane fa dal “gruppo del mercoledì”, di cui faccio parte, intitolata «Curare la differenza tra genere, generazioni, relazioni sessuali e famiglie arcobaleno». Invece di giudizi e condanne, fare domande e mettersi in ascolto.

Per esempio i desideri, possono sempre trasformarsi in diritti? Il desiderio di essere genitori, padre, madre, può travolgere qualunque ostacolo? Credo che il limite sia parte essenziale dell’esperienza umana, ma so che il dolore acceca, e non potere avere figli può essere straziante.

Mi sembra più difficile comprendere uomini, maschi per chiarezza, che si vogliono madri, fino al punto di dichiararsi tali all’anagrafe, come nel caso del coniuge di Elton John, che viene certificato come la “madre” dei loro figli. In ogni caso, con alcuni accorgimenti, il divieto per legge non mi convince. Come tutti i proibizionismi, porta solo a un fiorente mercato clandestino, e non risponde a nessuna delle domande. Far sparire la madre, il corpo che genera e mette al mondo, non mi sembra una bella impresa, per l’umanità intera. Ma non è il destino obbligato, neppure della maternità surrogata.