Stefano Buffagni, delegato da Luigi Di Maio al rapporto con le imprese del nord, ammette la preoccupazione. I grillini si attendono che l’Italia giallo-verde venga colpita dalla speculazione a partire dal tallone d’Achille del sistema bancario. «Il quadro è sicuramente complesso – dice – ma in questi momenti si possono aprire spazi per un Italia forte, con un governo forte, unito, con le idee chiare».

Caratteristiche che paiono costringere Di Maio a a tenere il gioco di Matteo Salvini. La sua posizione difficile si evince a fine giornata, con un segnale del tutto insolito per le cronache politiche: dispensa un «mi piace» su Facebook al post col quale Matteo Salvini esprime la sua «rabbia» a proposito delle trattative per la formazione del governo.
Il pollice digitale alzato segue una dichiarazione entusiasta. «È come se avessimo lavorato sempre insieme negli ultimi anni», dice Di Maio descrivendo l’affiatamento con la Lega nel vertice con il presidente incaricato Giuseppe Conte. Ma la preoccupazione che circola è più di quanta il capo politico sia disposto ad ammettere. Il Movimento 5 Stelle rischia di trovarsi in difficoltà in questi giorni di impasse, vaso di coccio tra i vasi di bronzo di Sergio Mattarella e della Lega.

Da una parte c’è il Quirinale, al quale il grillino aveva offerto garanzie europeiste e giurato piena collaborazione. Gli ultimi eventi, a partire dal braccio di ferro su Paolo Savona per tacere del pressing della famiglia Di Battista sul Colle, dicono chiaramente che le manovre di avvicinamento al presidente della repubblica sembrano essersi incagliate. Dall’altra c’è Matteo Salvini, che a differenza dei grillini ha il paracadute di una coalizione con la quale affrontare il rischio, al momento ancora piuttosto estremo, di ritorno al voto. L’oggetto del contendere, Savona e l’impianto di governo su economia ed Europa, mette in imbarazzo il profilo popolar-moderato di Di Maio per due motivi contraddittori, che dicono molto del labirinto nel quale il leader M5S sembra essersi infilato negli ultimi mesi. Savona non è più il ministro che fu del governo Ciampi, ha ormai il profilo di un antieuropeista. Un aspetto che turba più di quanto non appaia i vertici grillini che progettavano apparentamenti con Macron. Al tempo stesso, Savona ha legami con l’establishment economico, a partire da Impregilo. Conte, che deve mediare, è stato indicato dai 5 Stelle ma non ha il profilo del grillino al 100%, è un’altra variabile in questa storia complessa.

Che tutto ciò produca ricadute sulla leadership di Di Maio è evidente. Come e in che misura ciò accada, lo si capisce dal bussolotto che gira nella roulette dell’esecutivo.
Vincenzo Spadafora, che nel Movimento 5 Stelle è entrato come collaboratore stretto dell’ex vicepresidente della camera, in queste ore pare rassegnato a rinunciare ad ogni aspirazione di governo.

A causa del suo passato politico e delle sue relazioni con la famiglia di Angelo Balducci, l’uomo al vertice della cricca degli appalti. Spadafora, peraltro, non è mai stato gradito dai parlamentari più esperti, considerato poco grillino doc, arrivato quando tutto pareva farsi semplice. C’è poi la questione legata a Laura Castelli, che oscilla tra il ministero delle infrastrutture e quello della pubblica amministrazione. Al momento viene data come più probabile la seconda casella. Cosa che indebolisce la forza contrattuale contro la Tav: Di Maio aveva sempre parlato di blindare i dicasteri del lavoro e delle infrastrutture per marcare il governo sul fronte del reddito di cittadinanza e delle grandi opere. Castelli resta comunque in lizza, nonostante Nicola Biondo e Marco Canestrari, i due collaboratori di Gianroberto Casaleggio poi dedicatisi alla pubblicistica sul M5S, abbiano diffuso alcune mail nelle quali la deputata piemontese parla malissimo proprio di Di Maio, riportando carenze democratiche e atteggiamenti omertosi. Ancora un segnale di debolezza e confusione.