«Vogliamo coinvolgere tutti, ma la presidenza della camera spetta a noi». Ancora una volta Luigi Di Maio chiarisce la sua idea di «dialogo» con le altre forze politiche per la scelte dei presidenti dei due rami del parlamento. Le «garanzie» che il capo politico di 5 Stelle si dichiara pronto a offrire sono che ci sarà spazio per gli altri nelle vicepresidenze. E che non entreranno nell’ufficio di presidenza «condannati o sotto processo», per i grillini questo è «irrinunciabile».
Ma mente Di Maio informa (rivolto ai suoi elettori, sul blog) che «le cariche istituzionali sono molto importanti per la qualità del lavoro legislativo», immagina per la prima volta delle presidenze con un programma politico. Preciso: «L’abolizione dei vitalizi». Che sono già stati aboliti sei anni fa. Le intenzioni propagandistiche sono chiare.

Montare alla guida della camera per farne strumento di propaganda suggerisce il retropensiero: la legislatura potrebbe esaurirsi in un’altra campagna elettorale. A questo punto Di Maio potrebbe giovarsi persino di una promozione piccola piccola, malgrado l’ambizione di andare a palazzo Chigi: passare da vice a presidente di Montecitorio. L’azzardo richiede un coraggio forse eccessivo per il giovane che vede strada verso il governo in discesa; possibile un altro nome grillino incapace di fare ombra al leader: il fedelissimo deputato Fraccaro il più quotato.

Salvini, che è l’altra colonna di un accordo a due, e che dovrebbe scegliere un nome per il senato, non necessariamente leghista (l’alternativa a Calderoli resta il forzista Romani) sembra intuire i rischi di questa manovra di Di Maio. Avverte, proprio lui grande avversario a parole della «casta», che l’abolizione dei vitalizi non è una priorità, «la priorità è il lavoro». E del resto «il taglio dei privilegi lo abbiamo già fatto in passato».
È vero, dal 2012 le pensioni dei parlamentari sono calcolate con il sistema contributivo come quelle di tutti gli altri lavoratori. Sono pensioni alte, perché la retribuzione dei parlamentari è alta. Ma le differenze che restano – tipo la possibilità di andare in pensione dopo due legislature a 60 anni – non giustificano una campagna moralizzatrice. I soli «vitalizi» che si potrebbero tagliare, non abolire, sono quelli dei circa duemila ex parlamentari che però di fronte a nuove regole che comporterebbero un taglio immediato di circa il 40% del loro assegno non potrebbero che rivolgersi ai tribunali e da lì alla Corte costituzionale. Diversi giuristi sentiti dalla commissione di Montecitorio hanno garantito che la misura draconiana e retroattiva sarebbe dichiarata incostituzionale. Buona solo per fare propaganda.

Il taglio dei «privilegi» secondo Di Maio potrebbe essere deciso senza una legge, dall’ufficio di presidenza: questo è vero solo per le pensioni, non certo per i vitalizi. Nell’ufficio di presidenza ci sarà senz’altro il Pd, la sua richiesta di una vicepresidenza non può essere presentata come disponibilità a dialogare con i grillini: le vicepresidenze sono quattro ed è naturale che una vada ai democratici, per quanto disastrati (a Montecitorio ci sono da eleggere anche tre questori e otto segretari).

I segnali di un Pd disponibile alla trattativa – ieri di nuovo forti – sono invece quelli che puntano al governo. Con un Renzi distante, ieri è andato in scena il primo atto di un partito a caccia di una nuova posizione: anche il reggente Martina ha detto che «noi non ci tireremo indietro dal confronto» e soprattutto che «un governo M5S-Lega è pericoloso per il paese». Nel contesto di una discussione organizzata dalla minoranza di Cuperlo, il neo iscritto Calenda e il ministro Orlando hanno sostenuto le stesse cose: se Mattarella dovesse chiedere collaborazione per «un governo condiviso» allora «non dovremmo scegliere l’Aventino». Segnali di aggregazione di un’area che innanzitutto non condivide la linea oltranzista di Renzi. Ben interpretati dai resistenti renziani, che cercando un pretesto per attaccare l’hanno trovato in una frase di Orlando. Aveva criticato il «clientelismo e nepotismo» del Pd al sud ma, ha spiegato, senza riferirsi a Renzi.