Il “reddito di cittadinanza” non è ancora partito, ma Luigi Di Maio ha trovato un capro espiatorio. Si tratta di un impiegato di un Caf della Cgil in via Salita Partanna a Palermo, consigliere comunale del Pd a Monreale. L’uomo è stato intervistato, con volto opacizzato, dalla trasmissione “Non è l’arena” su La7.

In un frammento di una discussione espone i possibili modi per i conviventi di percepire due sussidi (avere residenze separate) o per lavorare in nero (accordarsi con il datore di lavoro). Insieme ai cambi di residenza, e ai divorzi fittizi, sono questi i modi per aggirare le misure stringenti, e penali, prospettate dal governo nel “decretone”. Almeno secondo una campagna mediatica partita dalla pubblicazione dei dati sui cambi di residenza a Savona: 1839 nel 2018. Secondo il sindaco della città ligure Ilaria Caprioglio, si tratta di un dato inferiore agli anni precedenti: nel 2016 sono stati 1985, 1845 nel 2017. Ma la caccia al “furbetto” è scattata e l’impiegato parlermitano è stato travolto. La guardia di finanza ha effettuato un’ispezione negli uffici del Caf e dell’Alpaa.

Questa agenzia per il lavoro agricolo, messa inizialmente nell’occhio del ciclone da Di Maio, collabora con la Flai Cgil e condivide solo gli uffici con il Caf. In un comunicato durissimo, il presidente Gino Rotella ha escluso ogni rapporto con il “reddito”, ha chiesto a “Non è l’arena” di rettificare la descrizione dei fatti: tra l’altro, l’inviato pensava di parlare con l’agenzia al pianterreno, la cui sede è invece al primo piano dello stesso immobile. “Il ministro deve chiederci scusa – ha scritto Rotella, secondo il quale l’obiettivo è “colpire la Cgil”. Poi è toccato al Pd che sul sussidio dei Cinque Stelle ha una linea che oscilla tra l’attacco ai “fannulloni” e la critica per non avere rafforzato il “reddito di inclusione” (ReI), una misura inglobata nel “reddito di cittadinanza”. “Il primo furbetto non è una persona in difficoltà, ma un consigliere comunale. Il Pd lo espellerà?” ha detto Di Maio su Facebook. “Dovete politicamente scomparire, le firme contro il reddito sono vergognose” ha rincarato la dose Alessandro Di Battista nello stesso video.

Argomento delicato per il Pd: le firme sono state annunciate dai renziani, ma sono state escluse da Maurizio Martina, segretario uscente e candidato alle primarie. “Non prendiamo lezioni di moralità da chi ha avuto problemi di rispetto dei diritti dei lavoratori nelle aziende di famiglia – ha risposto quest’ultimo – Sono disperati perché stritolati da un patto di potere”. Quanto al capro espiatorio sostiene di non essere addetto alle pratiche sul reddito, di avere pensato di parlare a una persona che si è presentata come un collega della Cgil, non un utente: “Ho riportato quello che si dice sul reddito” ha detto. Il segretario palermitano del Pd Miceli gli ha chiesto di auto-sospendersi. E la Cgil Sicilia ha avviato un’indagine conoscitiva interna. Vi prego – ha detto l’uomo- basta strumentalizzare questo episodio”.

Al momento sembra essere solo il primo caso di una serie che si annuncia lunga. La posta in gioco è anche la validità dei controlli e delle sanzioni annunciate dal governo. In particolare le pene fino a sei anni di carcere. Ieri un dossier del servizio studi di Camera e Senato ha espresso molti dubbi sulla pena: “È più elevata di quelle previste per il falso da pubblico ufficiale”. Le dichiarazioni false da parte dei privati “sono oggetto di sanzioni meno gravi”.