La discesa a Taranto del vicepremier Luigi Di Maio, accompagnato dai suoi fedelissimi ministri Costa, Lezzi, Grillo e Bonisoli, arriva ad oltre un anno dall’ultima visita in riva alla città dei Due Mari del capo politico dell’M5S.

Qui il Movimento il 4 marzo sfiorò il 50% dei consensi, eleggendo ben 5 tra parlamentari e senatori. Un consenso costruito negli anni a forza di durissimi attacchi ai nemici storici del Pd e di Fi, e di altisonanti promesse da realizzare una volta conquistato il governo del Paese, come la riconversione economica della città e la chiusura delle fonti inquinanti. Che a Taranto tutti identificano nel polo industriale costituito dall’immenso siderurgico ex Ilva oggi ArcelorMittal, oltre che dall’Eni, dall’ex Cementir e da una serie di grandi discariche che accolgono rifiuti da gran parte della Puglia e dell’Italia.

Come accaduto su altri temi, però, le promesse sono state disattese e i sogni infranti. Probabilmente perché poco chiare le prime e poco aderenti con la realtà i secondi. La rottura definitiva tra la città e il Movimento 5 Stelle è stata sancita a settembre, con la vendita dell’ex Ilva alla multinazionale ArcelorMittal con cui è naufragata la possibilità di chiusura del siderurgico tarantino.

Del resto Di Maio ieri non era in città per le vicende legate al siderurgico, almeno non appositamente per questo. Ma per riunire, ad oltre un anno di distanza, il Tavolo permanente per il Contratto istituzionale di sviluppo di Taranto. Uno strumento varato dal governo Renzi nel 2015 che prevede la realizzazione di ben 40 progetti per oltre un miliardo di euro. Si tratta di interventi per risolvere la situazione di criticità ambientale e socio-economica e per la riqualificazione urbana dell’area di Taranto attraverso l’istituzione di un tavolo permanente con gli enti istituzionali e il commissario straordinario per le bonifiche, sotto la guida di Invitalia come soggetto attuatore.

Si va dalla riqualificazione della Città Vecchia e dei suoi palazzi storici e di alcune aree e scuole del rione Tamburi, quello adiacente la grande fabbrica, alla bonifica del Mar Piccolo e di tutte le aree ricadenti nel Sito di Interesse Nazionale di Taranto. Passando per i lavori di ammodernamento del porto, la costruzione di un nuovo ospedale, la ristrutturazione di alcune aree dell’Arsenale con la realizzazione al suo interno di un museo storico.

Alcuni di questi progetti sono in fase di ultimazione, molti altri in fase di partenza o ancora in attesa di partire. C’era dunque l’assoluta necessità di riunire il tavolo, come sottolineato dallo stesso Di Maio, con la promessa di riconvocarlo ogni due mesi per seguire passo dopo passo l’iter della realizzazione di interventi che sicuramente porteranno Taranto a conoscere una nuova fase della sua storia.

Resta però irrisolto sulla sfondo il dilemma, per non dire il dramma, della difficile dicotomia tra tutela del lavoro e tutela della salute. L’ingombrante presenza dell’ex Ilva è lì ogni giorno a ricordarlo. Per questo Di Maio è sceso a Taranto dopo aver sostituito i tre commissari straordinari che gestiscono l’ex Ilva in amministrazione straordinaria, annunciando la norma introdotta nel decreto Crescita che dal prossimo agosto dovrebbe abolire l’immunità penale per gli attuali gestori del siderurgico. L’immunità era stata introdotta dal governo Renzi nel 2015 ed è stata prorogata per Mittal: prevede l’esenzione penale per tutti gli interventi del Piano ambientale per l’ammodernamento del siderurgico. In realtà quella contenuta nel decreto approvato dal consiglio dei ministri di martedì dovrebbe essere una norma molto simile a quella scritta nel 2015.

Le novità annunciate non sono servite a distendere il clima di protesta. A contestare Di Maio, cittadini e associazioni, alcune delle quali hanno anche avuto un confronto diretto e acceso con il vicepremier e ministro pentastellato. Del resto, la visita era attesa da mesi: farla cadere in concomitanza con la campagna per le europee sa fin troppo di politichese.