«Le mosse a costo zero di Matteo Salvini appaiono più delle nostre? La colpa è solo dei mass media. Ma troveremo le risorse per fare le nostre riforme». Così ha detto Luigi Di Maio a viceministri e sottosegretari del Movimento 5 Stelle. Oltre la concorrenza interna all’esecutivo, ci si domanda se la vicenda della nave Aquarius prima e le tempeste giudiziarie romane poi rilanceranno le fioche voci di dissenso dentro al M5S. Lo scenario è in evoluzione.

OLTRE ALL’INGOMBRANTE Salvini, si staglia l’ombra dell’avvocato Luca Lanzalone, presentato proprio come ambasciatore e uomo della trattativa con i leghisti. Afferma la senatrice Paola Nugnes: «Ricordo, innanzitutto a me stessa, che anche per Lenin il centralismo democratico, per il conseguimento della ‘missione’ e dell’obiettivo comune, chiaro e chiaramente condiviso, presuppone la condizione inderogabile della condivisione e che sia assicurata la partecipazione e condivisione a tutti i processi decisioniali». È una dichiarazione che non suona come rivendicazione retorica di trasparenza. Si pongono dubbi circa la «missione» in nome della quale si dovrebbe sacrificare l’orizzontalità. È legata a questa critica una faccenda di cui si parlato poco ma che attraversa i grillini più consapevoli: soltanto una settimana fa Davide Casaleggio ha partecipato a Firenze ad un convegno sulla democrazia digitale. Il contesto era accademico, slegato dalla quotidiana battaglia politica. Ma in quella sede, cifre alla mano, gli studiosi hanno chiesto come mai la piattaforma telematica che ha legittimato il «capo politico» Di Maio fornendogli pieni poteri e che dovrebbe essere garanzia di trasparenza e condivisione tra i 5 Stelle conosca da tempo il crollo verticale della partecipazione.
Nessuno tra i grillini parla di rotture. Qualcuno però ragiona di provare anche nei prossimi giorni a fare qualcosa che serva a forzare gli equilibri, tanto più che il M5S non fa epurazioni eccellenti da tempo, per motivi di impicci legali sulle regole interne ma soprattutto per convenienza politica. Insomma: alcuni di quelli che pensavano che per raggiungere il fine del governo degli onesti servisse assecondare tecniche comunicative spregiudicate si accorgono che sul piano politico e persino morale si stanno varcando soglie di non ritorno. Il dissenso è appena percepibile e va oltre le presunte correnti interne.

NELLA SQUADRA di sottogoverno convocata ieri da Di Maio in una sorta di gabinetto d’emergenza, ad esempio, compaiono nomi che travalicano la divisione, un po’ artificiosa, tra «ortodossi» e «pragmatici». Adesso però potrebbe crearsi uno spartiacque tra chi ha una storia da difendere o un gruppo locale attivo cui rendere conto e chi è svincolato da ogni referente sociale e può surfare tra distinguo politici e prese di posizione del momento. I primi, quelli che stanno cercando di capire come pesare in efficacia politica oltre che di visibilità, sono una minoranza. Che però ha sempre più frecce al suo arco. E che potrebbe addirittura puntare a trovare sponda nell’imbarazzo di Beppe Grillo per gli ultimi accadimenti. Elio Lanutti, ex presidente Adusbef e parlamentare dipietrista trascinato in parlamento proprio da Grillo, ieri in un messaggio sibillino ha tirato in ballo uno degli uomini vicini a Di Maio: «Lanzalone si è fermato un’ora a parlare su un divanetto del Transatlantico con Stefano Buffagni. Non tirate in ballo Grillo».

DI MAIO, DUNQUE, POTREBBE, pagare alcune scelte. Persino Virginia Raggi ha scaricato il peso di Luca Lanzalone sui neoministri Riccardo Fraccaro e Alfonso Bonafede, risparmiando il «capo politico» solo per modo di dire: è noto che i due vennero spediti da Di Maio accanto alla sindaca per vigilare sul suo operato. E poi c’è il fatto che i quattrini di Parnasi che piovevano sui candidati in modo trasversale, sarebbero arrivati secondo l’ordinanza del gip di Roma anche a due dei personaggi scelti dai vertici del M5S come esponenti della «società civile» per correre nei collegi uninominali. Entrambi sono avvocati ed entrambi correvano a Roma. Si tratta di Mauro Vaglio e Daniele Piva, il primo non eletto in senato: per pochi voti il M5S non ha il primo senatore indagato della sua storia. Neanche Piva ce l’ha fatta. Era candidato al collegio Ardeatino, quello che comprende anche l’area di Tor di Valle, dove dovrebbe sorgere lo stadio della Roma. Vaglio, come altri grillini del giro di governo, viene dalla Link University. Parnasi nelle intercettazioni lo descrive proprio come uomo molto vicino a Luigi Di Maio.