Da quando è stato nominato da Renzi nel 2015 la presentazione del Rapporto annuale dell’Inps si è trasformata in una specie di «uno contro tutti» in cui il presidente Tito Boeri dà sfoggio della sua megalomania impartendo lezioni a parlamento, sindacati, vari ministri e Istat. Ieri mattina nell’aula della Regina alla camera l’attesa per le parole di Boeri era però maggiore: lo scontro con Salvini (che ieri ha ribadito: «Vive su Marte») sul tema dei migranti e la reazione del ministro Di Maio erano al centro dell’attenzione politica e mediatica.

DAVANTI ALLA SOLITA PLATEA bipartisan in cui spiccava quell’Alberto Brambilla che ha scritto la parte pensioni del «contratto di governo» e viene da più parte indicato come suo successore, Boeri non ha tradito le aspettative. La sua lunga relazione scritta con aggiunte a braccio e vari passaggi autocensurati è partita proprio dal tema caldo dei migranti. «Azzerando l’immigrazione ci priveremmo di circa 700 mila cittadini sotto i 34 anni in 5 anni», «giusto ridurre l’immigrazione clandestina ma il nostro paese ha bisogno di aumentare quella regolare: tanti lavori che gli italiani non vogliono più svolgere, la domanda di lavoratori immigrati è altissima», «i loro contributi ci servono per pagare le pensioni».

PER IL RESTO IL DISCORSO DI BOERI è stato fin troppo «grillino» lodando il decreto dignità appena varato da Di Maio – «ridurre la durata massima dei contratti a tempo determinato e alzare gli oneri mi sembra giusto» – e appoggiando l’idea di tagliare «i vitalizi» e «le pensioni di privilegio».

DUNQUE QUANDO TOCCA A DI MAIO intervenire le lodi per il presidente dell’Inps sono copiose. «La sua collaborazione istituzionale anche prima della nascita del governo è stata ottima», esordisce il ministro del Lavoro ricordando i vari incontri di queste settimane. Poi la frase che sembra mettere definitivamente Boeri sotto la sua ala protettrice: «Non so se andremo d’accordo su tutto, ma di sicuro ci andremo sul taglio dei vitalizi e delle pensioni d’oro».

L’unico appunto critico è sul tema della «percezione dei migranti su cui dobbiamo riflettere», ma è parso più una concessione a Salvini che un reale attrito.

D’ALTRA PARTE SPETTERÀ PROPRIO a Di Maio – ministro competente e controllante sull’Inps – proporre il prossimo febbraio la successione o la conferma. Al momento – a meno di sconquassi o scambi politici – il nome sarà sempre quello del professor Tito Boeri.

COME SE SI FOSSERO GIÀ reciprocamente rassicurati sul contenuto della relazione, Boeri ha aperto anche alla modifica della riforma Fornero, cavallo di battaglia anche del M5s. Se la stima dei costi di «Quota 100 con 64 anni di età e il mantenimento dei requisiti di anzianità contributiva indipendenti dall’età» (gli attuali 42 anni in progressivo aumento, ndr) si abbassa agli abbordabili «8 miliardi», il presidente dell’Inps ha proposto «sei riforme possibili» aprendo anche all’uscita anticipata e flessibile con un calcolo dell’assegno totalmente contributivo, come avviene già per «Opzione donna».

CHI INVECE ERA E RIMANE nel mirino di Boeri sono i diritti dei pensionati e i sindacati. Per i primi ha parlato di «giungla di prestazioni di natura assistenziale, a partire dalle maggiorazioni sociali all’integrazione al minimo», prospettando «un riordino dei 21 criteri reddituali» per usufruirne. Sotto attacco anche chi «gode della legge 104» per l’accompagnamento di familiari non autosufficienti: «Chiediamo al parlamento di darci strumenti normativi per fare i controlli», ricevendo il sostanziale via libera da Di Maio.

QUANTO AI SINDACATI Boeri in pochi minuti ha attaccato tutta la contrattazione: «Porta salari più alti al Sud dove c’è più disoccupazione e meno produttività: assurdo» per poi rilanciare «il salario minimo orario anche per i lavoratori coperti da contrattazione» (questo sì, assurdo).

LA RISPOSTA DELLA CGIL è infatti stata molto dura: «Boeri anziché rendere conto rilevanti difficoltà che attraversa l’Inps ha preferito interpretare altri ruoli, fino a definire un nuovo sistema contrattuale che superi i contratti nazionali, riproponendo le gabbie salariali», attacca Roberto Ghiselli, segretario confederale