Quel che non è riuscito a Beppe Grillo, padre fondatore dei 5S, a Roberto Fico, presidente della Camera, e a Elisabetta Trenta, ministra della Difesa, potrebbe riuscire allo zoccolo duro della Lega, i piccoli e medi imprenditori del nord. Tra i due vicepremier, nonostante qualche fibrillazione, non c’è stata dalla nascita del governo in poi nessuna vera divisione, nulla di anche vagamente preoccupante. Il decreto Dignità rischia di essere il primo strappo.
La tensione tra i due partiti di maggioranza è palese. Nessuno si è stupito più che tanto quando ieri è uscita la notizia di un confronto aspro tra Grillo e Di Maio, datato 27 giugno scorso, con il comico ad accusare il «capo politico», vicepremier e pluriministro di aver «annacquato» i valori del Movimento con una dose esagerata di leghismo, tanto da indicare addirittura i modelli alternativi: Fico e la sindaca di Roma Virginia Raggi.

Di Maio ieri ha smentito appena letti i giornali: «Con Grillo non c’è nessun problema». L’indiscrezione e la versione del ministro del Lavoro sono inconciliabili solo in apparenza. Che il fondatore sia preoccupato per l’invadenza leghista e per la tendenza di Di Maio e Toninelli a lasciare per il capo del Carroccio praterie aperte è certo, ed è più che probabile che abbia esternato le preoccupazioni al responsabile dell’annacquamento. Ma ha anche chiarito di non voler arrivare a rotture o sconfessioni. Per Di Maio è più che sufficiente per negare ogni problema.

In effetti ieri si è ripetuta la scena già vista quando Fico aveva provato a scindere la linea dei 5S da quella del Carroccio sull’immigrazione solo per essere sconfessato bruscamente da Di Maio. Di fatto, ieri, sia il vicepremier che il ministro delle Infrastrutture Toninelli hanno spalleggiato Salvini nel confronto con la ministra della Difesa. Trenta aveva segnalato al titolare del Viminale che la responsabilità della missione Sophia è in capo agli Esteri e alla Difesa, non agli Interni. Di Maio non l’ha certo smentita, ma ha sostenuto a spada tratta, come linea del governo, quella indicata dal leghista.

Non c’è sondaggio infausto o critica altolocata che tenga. Staccare Di Maio dal collega leghista pare impossibile, ed è comprensibile che sia così dal momento che sul successo di questo governo e del «contratto» il leader dei 5S ha scommesso il suo futuro politico. Ma su un punto Di Maio non può cedere: il dl Dignità. E’ la carta che gli permette di sostenere che l’alleanza con il Carroccio non va a solo vantaggio dei leghisti ma permette anche ai 5S di portare a casa risultati sonanti. Si aspetta quindi da Salvini la stessa solidarietà priva di incrinature che sta dimostrando lui sul fronte dell’immigrazione.

Solo che il quadro non è simmetrico. Se gran parte dell’elettorato a 5S non pare scalfito dalle politiche del governo sull’immigrazione, una parte di quello leghista è in rivolta. Il decreto in realtà non è affatto esplosivo. E’ al contrario tanto timido che lo stesso Di Maio deve ammettere che si tratta solo di un «primo passo nella lotta contro il precariato». Ma gli industriali, tra i quali parte della base leghista, reagiscono come se si trattasse di una rivoluzione. Stretta sui contratti a termine, aumento dei costi e degli indennizzi, introduzione delle causali di licenziamento, invocazione per il ritorno i voucher: la richiesta di modifica è praticamente totale ed è indirizzata alla Lega, tutt’altro che insensibile al grido di dolore. Di Maio alza le barricate: «Se il parlamento vuole fare proposte migliorative bene. Ma non accetto ricatti tipo: ’O ci fate sfruttare i giovani o li licenziamo’. Se i voucher devono essere reintrodotti per sfruttare i giovani ci sarà un muro di cemento armato». Probabilmente Salvini otterrà il ritorno dei voucher nell’agricoltura e nel turismo, ma di più M5S non può concedere.

Fi soffia sul fuoco: «Noi non vogliamo migliorare il decreto ma stravolgerlo», promette Gelmini, presidente del gruppo a Montecitorio, da dove partirà l’iter della conversione del decreto. Così il rischio di dover ricorrere alla fiducia già dal primo provvedimento diventa concreto. Per la maggioranza sarebbe il peggior viatico.