Luigi Di Maio è pronto a rinunciare alla carica di «capo politico» del Movimento 5 Stelle? La voce circola, probabilmente viene fatte trapelare ad arte da giorni, ed è stata raccolta prima dal Foglio e poi dal Fatto quotidiano che ha cerchiato in rosso anche una data: il 20 gennaio, addirittura prima delle elezioni regionali. I rumors confermano le difficoltà dei vertici grillini ma non vanno presi alla lettera.

«Le dimissioni di Luigi non sono una questione all’ordine del giorno», dice un deputato di solito niente affatto accondiscendente nei confronti di Di Maio. Anche lo staff del ministro degli esteri smentisce uno scenario definito «surreale». Di più: il «falso retroscena» pubblicato «mentre Di Maio è impegnato in importanti dossier di politica estera» è «un fatto gravissimo, che ci sorprende». Eppure la voce circola e prospetta un possibile «Piano b» tutto da verificare anche dopo un eventuale tracollo alle regionali.

FINO A GIOVEDÌ SERA, prima dell’assemblea congiunta dei parlamentari, dal gruppo comunicazione del M5S si cercava di sminuire l’importanza del documento scritto da alcuni senatori e condiviso dalla maggioranza degli eletti. La conferma indiretta della rilevanza di quel testo arriva quando il ministro Alfonso Bonafede, il sottosegretario alla presidenza del consiglio Riccardo Fraccaro, due viceministri come Laura Castelli e Manlio Di Stefano e un drappello di parlamentari sentono il bisogno di esprimere a Di Maio pubblicamente il loro sostegno e predicano la «gratitudine» nei confronti del «capo politico».

Da qui si capisce che la mossa dei senatori non è estemporanea, ha un obiettivo preciso. Ulteriore segnale del peso specifico del «Manifesto per il miglioramento del M5S» il fatto che il presidente della commissione cultura alla camera Luigi Gallo, vicino a Roberto Fico, dichiari di considerarlo un’ottima «base di discussione» al fine di «dare più intelligenza collettiva nel M5S che ha bisogno di una guida collegiale per rafforzarsi, visto che da due anni si sta indebolendo e ha bisogno di sprigionare le energie, le competenze e l’entusiasmo rimasti soffocati». La sponda dal lato grillino di Montecitorio fa dire a diversi deputati di essere pronti anche loro a prendere in esame il «Manifesto» presentato ieri da alcuni senatori. «Apriremo l’elaborazione, l’implementazione e l’emendamento delle nostre proposte a tutti i senatori, deputati, portavoce locali ed attivisti su tutto il territorio nazionale» conferma Mattia Crucioli, uno dei senatori che ha scritto il documento.

IL PUNTO DI APPRODO di questo processo caotico e deflagrante sono gli «stati generali» del M5S. Ieri Di Maio si è riunito con la squadra dei facilitatori nazionali che hanno scelto la data per quello che potrebbe essere considerato quanto di più vicino al primo congresso nazionale della storia pentastellata: si terrà dal 13 al 15 marzo in un luogo da decidere. Il consesso si potrebbe tenere ad Assisi, per ricordare i rimandi francescani del primo grillismo. Oppure in una delle due grandi città amministrate dal Movimento: Torino o Roma.

La riunione della neonata segreteria nazionale è servita anche a dare il via alle procedure di selezione dei facilitatori regionali. Anch’esse sono contestate, visto che i responsabili territoriali saranno votati su Rousseau ma la consultazione servirà soltanto a scegliere una rosa alla quale poi sarà Di Maio a dover attingere per nominare i referenti regionali. Insomma, nonostante il fuoco di fila e le voci di un passo indietro, Di Maio continua a dettare i tempi e riempire le caselle dell’organigramma del M5S che verrà.

IL «CAPO POLITICO» si considera insostituibile e confida che il M5S, che non ha mai costruito una leadership alternativa, finisca per prendere atto di avere ancora bisogno di lui. Un Movimento collegiale, con Di Maio detronizzato, avrebbe bisogno di stare in equilibrio su tre gambe. Dovrebbe essere più presente Beppe Grillo, che conferirebbe radici storiche e garantirebbe presenza mediatica. Ci sarebbe più spazio per Giuseppe Conte, che in virtù della sua esperienza di governo fornirebbe un profilo istituzionale. Infine dovrebbe avere più poteri l’organismo collegiale che molti auspicano come camera di compensazione delle diverse anime grilline, che avrebbe anche la funzione di aprire alle istanze di democrazia diretta e orizzontalità. Nessuna di queste gambe sarebbe autosufficiente, il che potrebbe essere sintomo di instabilità ma anche prova di pluralismo.