«Se non dovessimo avere i numeri, faremo un appello pubblico a tutti i gruppi parlamentari. Non possiamo farlo adesso perché non sappiamo quale consistenza avranno, né se Liberi e uguali supererà lo sbarramento». Tono di sufficienza, Luigi Di Maio gela le aperture di credito che negli scorsi giorni sono arrivate da sinistra. A Corrierelive assicura che M5S, certo di essere il primo gruppo in parlamento, vuole «dare un governo al paese» e «fare in modo che non piombi nel caos». Finisce così all’interno di Leu la polemica fra gli scettici e i possibilisti sugli accordi con i grillini: dalla prima parte Laura Boldrini e il presidente toscano Rossi, dall’altra Piero Grasso e Nicola Fratoianni. Polemica che il presidente del senato aveva subito smorzato, ma comunque dopo aver sottolineato che la decisione spetterà a lui, nell’eventualità.

DOPO LA MANIFESTAZIONE di interesse verso M5S, il leader di Leu dà però un colpo alla botte dem: «Siamo una sinistra di governo, istituzionale, assolutamente nuova», e «se il Pd dovesse rifare politiche di sinistra potrà avere nostro appoggio», dice a Porta a porta. Ma anche questo dossier è rimandato a dopo il voto.

INTANTO IN LOMBARDIA il Pd prova il pressing su Leu. Il dialogo non è chiuso perché, dice Grasso, «dopo l’addio di Maroni ho riconvocato i delegati, ma hanno indicato il loro candidato, mi sono fidato della loro scelta». Gori e il Pd provano però a far breccia fra gli elettori di Leu e sul rischio di far vincere il leghista razzista Fontana.

MA IL PD HA BEN ALTRE gatte da pelare a Roma. Nelle ore del travaglio delle liste e delle candidature (i termini di consegna scadono rispettivamente il 21 e il 29) molte caselle sono ancora da riempire. Ieri mattina alle 11 e mezzo Lorenzo Guerini, Piero Fassino e Maurizio Martina sono andati nella sede di +Europa per discutere con i radicali Magi e Della Vedova e con l’ex dc Tabacci. Atmosfera positiva, la volontà di accordo c’è, c’erano anche pizzette e cocacola.

Ma sono certi preziosi dettagli a mancare. I tre europeisti hanno chiesto e ottenuto l’impegno – nella prossima legislatura – su una legge che semplifichi la raccolta delle firme sulle liste. Non si sarebbe parlato di seggi e collegi, ma di criteri: i tre europeisti chiedono il «criterio generale» che i loro seggi (quelli uninominali, cioè sicuri) siano individuati in territori che consentano «una sfida politica». Traduzione alla buona: evitiamo imbarazzi e contestazioni nelle «zone rosse» che già si rivoltano contro i «paracadutati da Roma». I tre del Pd hanno preso tempo: servono ancora «passaggi interni». Traduzione: non sono stati ancora individuati i seggi da devolvere agli alleati. I tre seggi proposti dal Pd e i sei controproposti da +Europa (Bonino, Della Vedova, Magi, Tabacci, Falasca di Forza Europa e Galla dell’associazione Coscioni) vengono smentiti all’unisono.

Si rivedranno oggi pomeriggio prima della direzione, stavolta in versione fattiva, per poter annunciare poi alla riunione la chiusura dell’accordo.

ANCHE CON GLI ULIVISTI di Insieme l’incontro è fissato per oggi pomeriggio. In questo caso però tira un’ariaccia. Ieri si è sparsa voce del ritiro della lista. Smentite ufficiose da entrambe le parti. Ma dopo gli appelli accorati del prodiano Santagata anche il verde Bonelli è pessimista per «l’atteggiamento incomprensibile e non costruttivo del Pd». Anche in questo caso si giura che non si è mai discusso di poltrone. Oggi il Pd ne proporrà tre (gli stessi Santagata e Bonelli e il socialista Nencini), la controproposta sarebbe ben dieci. Ma la corda troppo tirata potrebbe spezzarsi, avvertono dal Nazareno: «Renzi è stufo, sta molto riflettendo sull’utilità di una coalizione così». I sondaggi degli alleati viaggiano intorno ai prefissi e il trio dei negoziatori non sarà di manica larga.

DISCORSO DIVERSO è quello con i Civici popolari di Beatrice Lorenzin. Ieri a Porta a Porta ha minacciato di candidarsi nel Lazio contro il presidente Zingaretti che ha escluso una sua lista dalla coalizione (in caso contrario avrebbe dovuto lasciare a casa Leu). La ministra parla di «un’operazione di Leu contro il governo Gentiloni e contro il Pd», «Zingaretti ha tolto una maschera, ha rinunciato a essere il candidato moderato di questa regione e ha deciso di fare un’operazione politica nazionale sinistra-sinistra contro il governo». Insomma: «Spero che si trovi una soluzione con Zingaretti altrimenti andremo da soli». Traduzione: l’esclusione dal Lazio costerà al Nazareno qualche seggio in più dei sei devoluti agli alfaniani.