La mano «è tesa», il dialogo è «non formale ma vero», tanto che il prossimo passo è già previsto per quando a Buenos Aires, in occasione del G20, Jean-Claude Juncker, Pierre Moscovici, Giuseppe Conte e Giovanni Tria si ritroveranno di nuovo. Questi sono i petali di Moscovici, ai quali aggiunge qualche carezza anche il ministro delle Finanze tedesco Scholz, dopo l’incontro con il ministro Tria: «La commissione sta compiendo la sua missione: crea un dibattito costruttivo». Poi arrivano le spine, perché comunque, sottolinea il commissario francese, «le regole non si possono ignorare», e dunque «qualcosa deve muoversi». La disponibilità italiana a rivedere la manovra, insomma, non può esprimersi solo attraverso mezze parole. Va messa nero su bianco.

NON SUCCEDERÀ. Parola di Matteo Salvini. Da Roma non partirà nessun nuovo documento: «Spetta al parlamento approvare la manovra e sarebbe quanto meno ingeneroso che l’Europa prendesse provvedimenti sanzionatori prima ancora che la manovra esista». In effetti far partire la procedura ancora prima del varo della legge di bilancio è stata una forzatura evidente da parte dell’Unione europea, che peraltro può replicare segnalando che la procedura può essere fermata in ogni momento ove arrivassero segnali concreti da parte del governo italiano.

Ma il vero macigno sulla strada della trattativa avviata a Bruxelles non è il rifiuto di mettere per iscritto la modifica dei saldi: è la divisione netta tra i soci della maggioranza sul modificare o meno quei saldi. Il conflitto trapela con assoluta evidenza. Luigi Di Maio è perentorio: «I saldi restano invariati. Stiamo cercando semplicemente di migliorare la quota investimenti». Come se non bastasse, il leader dei 5 Stelle punta i piedi sui due punti che permetterebbero di modificare la manovra senza rinunciare alle due riforme di bandiera. «Né il reddito di cittadinanza né quota 100 slitteranno. Il reddito partirà a marzo come quota 100 e le pensioni di cittadinanza». Nessuna revisione neppure per quanto riguarda la platea interessata dalle due misure: «Non cambia».

NON SONO QUESTI I TONI adoperati da Salvini. Interrogato sui saldi evita risposte precise: «Stiamo rifacendo i conti su tutto e il numerino arriverà alla fine. L’impegno su quota 100 a marzo rimane ma con la collaborazione dell’Inps». Il capo leghista va oltre: «La manovra uscirà dal parlamento diversa da come c’è entrata perché il parlamento è sovrano». Infine si dice addirittura pronto a «fare di tutto per evitare la procedura d’infrazione».

In parte Salvini mira evidentemente a prendere tempo, punta su un rinvio della scelta sulla procedura a dopo il varo della legge di bilancio e se possibile ancora oltre, fino ai primi saldi in marzo quando spera di poter sbandierare risultati positivi per calmare le acque. Ma la differenza tra i suoi toni possibilisti e quelli ancora molto rigidi del vicepremier pentastellato Di Maio è indiscutibile. E’ una distanza che data sin dalla vigilia della cena di Bruxelles, venerdì scorso. Nei due giorni precedenti tutti i leader si erano presentati, su loro richiesta, al Quirinale per chiedere consiglio al capo dello Stato.

Sergio Mattarella ha fatto capire a tutti la stessa cosa, sia pure con il suo stile da scuola democristiana. Non pagare oggi lo scotto richiesto da Bruxelles significherebbe pagarne uno molto più alto in gennaio. Rinviare ancora, con le aste dei titoli più importanti fissate tra la fine di gennaio e febbraio, vorrebbe dire dover sborsare una cifra esorbitante in marzo. Per lo stesso governo resistere nella tempesta e senza alleati in Europa sarebbe arduo. La sensazione è che Salvini si sia convinto della necessità di trattare sul serio molto più che non il socio.

IL PERCORSO SAREBBE comunque accidentato. La commissione vuole che il deficit sia portato dal 2,4% al 2%. Anche il tetto del 2,2% dovrebbe essere oggetto di un braccio di ferro. La possibilità di colmare il divario con nuove entrate, di fatto intervenendo sulle detrazioni fiscali, è più teorico che realistico.

Domani i tecnici dei ministeri delle Finanze Ecofin approveranno la richiesta di sanzioni e in questo clima l’euforia seguita all’avvio del dialogo potrebbe raggelarsi presto. Il termometro dello spread ieri è salito di nuovo. Non tanto da tornare a quota 300. Abbastanza da far temere che la discesa si sia già fermata.