A rallentare la corsa del governo alla camera non è Genova, è Ischia. Malgrado non compaia nel nome del tormentato decreto che sarà convertito – se va bene – cento giorni dopo il crollo del ponte Morandi, l’isola della Campania nel testo di legge ufficialmente e faticosamente venuto alla luce per Genova si è presa la parte maggiore: 20 articoli contro gli 11 dedicati al capoluogo ligure. Poi c’è il condono, previsto per tre comuni di Ischia, ribattezzato dal Pd «condono Di Maio» e duramente contestato dalle opposizioni in aula, tanto da rallentare i lavori. O meglio, contestato dal Pd e da Leu, i cui rappresentanti sono intervenuti su tutti gli emendamenti, non da Forza Italia che al contrario avrebbe voluto un condono esteso a tutta la Campania.

Per il Movimento 5 Stelle, già in difficoltà sul fronte interno, l’appoggio dei deputati di Berlusconi è persino più imbarazzante degli slogan, dei cartelli sventolati in aula dal Pd (o delle forchette brandite). Relatore e capogruppo grillino tentano di spiegare che nella legge non c’è nessun condono – sulla base dell’argomento un po’ gracile che il titolo dell’articolo 25 è «Definizione delle procedure di condono» e non «Condono» – ma non risultano molto convincenti. Nemmeno per tutto il gruppo 5 Stelle, che nel momento del voto degli emendamenti soppressivi perde qualche pezzo.

Il condono previsto per quei comuni di Ischia che hanno subito dal terremoto dell’agosto 2017 danni gravi (Casamicciola), moderati (Lacco Ameno) e persino scarsi (Forio), riguarda in effetti le domande di regolarizzazione già presentate. Che però sull’isola sono tantissime, addirittura quasi 27mila che vuol dire una ogni 2,5 abitanti. Il meccanismo proposto dai 5 Stelle (e accettato dalla Lega nell’ambito dei consueti scambi tra alleati) prevede che per le case danneggiate dal terremoto le domande di condono presentate sulla base di tre successive leggi – la prima del 1985, la seconda del 1994 e la terza del 2003 – vengano definite entro un termine breve (sei mesi) facendo riferimento alle regole più permissive, quelle del condono del 1985 (Craxi presidente del Consiglio, Nicolazzi ministro dei lavori pubblici). I proprietari delle case condonate, secondo il decreto, potranno accedere anche ai fondi pubblici della ricostruzione.

Spaventato per il contraccolpo di immagine, soprattutto dopo la circolazione dei suoi video in cui giurava che il M5S non avrebbe mai fatto un condono (mentre il decreto Genova ne prevede anche un altro per le quattro regioni del centro Italia colpite dal terremoto del 2016), Di Maio ha provato a lanciare una sua «operazione verità». Postando sui social il testo del famigerato articolo 25, dal quale si dovrebbe desumere che è prevista solo l’accelerazione di procedure già in vigore, peraltro con qualche limite (non sono dovuti contributi pubblici per le opere di allargamento). Il post, immediatamente rilanciato dal sistema di account grillino, si rivela però una gaffe, dal momento che il testo riprodotto nasconde il comma uno dell’articolo 25, quello che allarga le maglie del condono (riferendosi alla legge del 1985). L’ingenuo trucco viene subito scoperto, basta accorgersi che l’articolo postato da Di Maio comincia con il comma 1-bis. E sfortuna vuole, per i 5 Stelle, che «l’operazione condono» arrivi in aula proprio nel giorno in cui alluvioni e smottamenti rendono evidenti i guasti della cementificazione. Per Di Maio l’imbarazzo è doppio.

Il ministro delle infrastrutture Toninelli, invece, viene tenuto lontano dal dibattito parlamentare. Sperimentata la sua abilità nel provocare tumulti a ogni intervento, il provvedimento è affidato a una coppia più accorta, il vice ministro delle infrastrutture Rixi e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Crimi. Dopo continue interruzioni per consentire alla commissione bilancio di dare l’ok alle correzioni che lo stesso governo decide via via di inserire, il dibattito va avanti fino a tardi. Oggi l’obiettivo è quello di approvarlo entro le 15, ma è possibile uno slittamento di qualche ora. Non di più, perché il senato ha già poco tempo per convertire definitivamente il decreto. A palazzo Madama l’aula è fissata per il 13 novembre.