Ufficialmente la riunione doveva servire ad aprire il percorso che porterà alla scelta del nuovo capogruppo del M5S al senato. Ma era la prima volta che gli eletti a Palazzo Madama si ritrovavano dopo la formazione del governo. E siccome tra gli annunci di rinnovamento e apertura alla partecipazione delle calde giornate di agosto e la chiusura dei vertici di settembre ci sono molte contraddizioni e promesse disattese, la riunione dei senatori grillini è stata movimentata. A finire nell’occhio del ciclone è il «capo politico» Luigi Di Maio. Il confronto tra i senatori si è spinto fino a chiedere che vengano rivisti i poteri di cui dispone appunto il «capo politico». «È arrivato il momento di rivendicare l’introduzione del principio democratico dell’elezione dal basso verso l’alto di tutti i livelli, organi e cariche del M5S», ha detto ad esempio Primo Di Nicola, rivolgendosi ai suoi colleghi.

Tra le proposte, quella di affidare le decisioni a un organismo collegiale «votato e condiviso» composto da dieci membri, tra i quali dovrebbero comparire i due capigruppo e Beppe Grillo, che ha avuto un ruolo decisivo nell’imprimere una svolta alla trattativa per la formazione della maggioranza col Pd. Sarebbe necessaria una modifica dello Statuto del M5S, che formalizzerebbe il commissariamento di Di Maio e renderebbe ancora più esplicito lo scontro tra la «base» dei parlamentari (al momento unica platea un minimo rappresentativa e organizzata dentro il gioco di scatole cinesi dell’organizzazione grillina) e il vertice. Ma per mettere mano alla carta fondamentale del M5S serve un intervento di Di Maio, una convocazione di una consultazione (presumibilmente per volontà informale di Casaleggio). I senatori lo sanno, per questo sperano che a muoversi sia Grillo, nella sua funzione istituzionale di «garante» oltre che padre nobile e fondatore. «Chiediamo a gran voce l’intervento di Beppe Grillo», dice Mario Michele Giarrusso, che chiede addirittura che Di Maio lasci «tutti gli incarichi». «Non vedo quale esperienza possa vantare agli esteri – attacca il senatore – In più, abbiamo perso sei milioni di voti e siamo in minoranza nel consiglio dei ministri».

Anche alla camera gli eletti sono in subbuglio: lì a presiedere il gruppo si è candidata Anna Macina, che cerca di rappresentare anche i deputati vicini a Roberto Fico, che hanno preso in pugno la situazione dopo la crisi del rapporto tra Di Maio e Salvini. Al senato le cose si complicano ulteriormente perché è più visibile la componente «di destra» capitanata da Gianluigi Paragone. Fino a qualche giorno fa il candidato naturale per la presidenza del gruppo era Danilo Toninelli. Ma ora Toninelli viene associato a Di Maio, relazione che di questi tempi non è il massimo delle credenziali tra gli eletti grillini.