Ad una settimana dalla scadenza del prestito ponte e del bando, l’operazione Alitalia è ancora sulla pista di decollo con ben poche certezze.
Ieri il ministro Luigi Di Maio ha dispensato ottimismo in parlamento durante il Question time rispondendo all’interrogazione dell’ex ministro dei trasporti Maurizio Lupi. Il vicepremier ha rilanciando il paragone con Ilva ma le differenze fra i due casi sono eclatanti. Per ovviare alla più grande – la mancanza di un compratore o dell’indispensabile partner internazionale – il vicepremier ha annunciato: «Sono felice di dirvi che stiamo ricevendo molte manifestazioni di interesse da parte di primari operatori internazionali del trasporto aereo che sono in fase di valutazione». Chi siano non è dato sapere ma poco dopo lo stesso ministro ha specificato a chi gli chiedeva se fossero in programma incontri con Delta – il gigante americano più quotato per le nozze – o Lufthansa – la compagnia tedesca che era interessata ma poneva come condizione di licenziare almeno 4mila dipendenti Alitalia su 11mila – ha risposto: «Nessun incontro di questo tipo».
Parole non tranquillizzanti nemmeno per Fs che si ha condizionato l’acquisizione di Alitalia con la presenza di un partner. Ma, si sa, la volontà politica c’è e – acquisito il via libera del ministro Tria – la Newco della nuova Alitalia sarà realizzata con i soldi di Fs e – se la Ue non metterà i bastoni tra le ruote – con la conversione del prestito ponte di 900 milioni. O, meglio di ciò che ne rimane in cassa.
Di Maio comunque ci crede. E ribadisce di essere «felice» per la seconda volta: «Siamo felici della manifestazione di interesse da parte di Ferrovie dello Stato a partecipare a questa procedura competitiva, per valutare la possibilità di presentare un’offerta entro il prossimo 31 ottobre», ha detto Di Maio, aggiungendo, ma solo alla fine, che «Alitalia, perché l’operazione di rilancio sia effettiva e sostenibile, ha bisogno di uno o più partner industriali». «Come ci siamo occupati di grandi dossier in 3 mesi dopo 6 anni di abbandono, anche questo dossier lo stiamo affrontando e lo porteremo a compimento in maniera brillante», ha profetizzato il vicepremier.
Ai tanti a cui solo la parola «nazionalizzazione» manda il sangue alla testa e che denunciano il «nuovo carrozzone che costerà 3 miliardi a noi contribuenti» Di Maio ha gioco facile nel rispondere: «Chi interroga questo governo sul rischio di un intervento dello Stato in Alitalia è anche chi ha partecipato ai governi che hanno causato lo sfacelo di Alitalia e ha portato in queste condizioni la compagnia. Penso – aggiunge il vicepremier – che i cittadini lo abbiano capito ed è per questo che chi se ne è occupato ora si trova nei banchi dell’opposizione». La nazionalizzazione in quest’ottica è solo lo strumento migliore per arrivare all’obiettivo: «Non solo salvare Alitalia, ma rilanciarla una volta per tutte sul lungo periodo. Vogliamo rilanciare Alitalia, farla diventare un asset fondamentale anche per attrarre nuovi turisti secondo una nuova ed organica strategia di trasporto del sistema paese, il tutto salvaguardando appieno i livelli occupazionali della società e anzi creando nuove opportunità di crescita e di sbocco lavorativo soprattutto per i più giovani», ha concluso.
Rimane il fatto che in nessun paese del mondo si è mai verificata l’alleanza tra il trasporto su rotaia e quello aereo. E il sospetto che i soldi usati per comprare Alitalia arrivino dai fondi che Fs ha previsto per rilanciare i treni dei pendolari è più che legittimo.