La corsa nei fatti solitaria di Luigi Di Maio invera al contrario la profezia sulle elezioni contenuta in un racconto di Isaac Asimov. Il grande scrittore di fantascienza ha immaginato una società del futuro prossimo nella quale, grazie a calcoli statistici ed indagini sulla popolazione, viene scelto un «cittadino medio» come unico elettore per le elezioni presidenziali. Dunque, i diversi candidati alla presidenza hanno l’unico obiettivo di convincere l’elettore prescelto come rappresentante dei gusti e delle opinioni della maggioranza dei cittadini. Nel caso di Di Maio e dell’algoritmo grillista, si verifica la condizione inversa: Luigi Di Maio non può avere rivali davvero competitivi nella sua corsa alla leadership perché lui e soltanto lui, al momento, incarna il sogno della Casaleggio Associati. Il suo identikit, infatti, esprime lo spirito di trasversalità del Movimento 5 Stelle, oltre ogni appartenenza politica e ogni casella di schieramento.

Il volume «Di Maio chi?», biografia del trentenne vicepresidente della camera, pubblicata da un suo concittadino con trascorsi grillini, ruota tutta attorno ad un apologo che la dice lunga sulla attitudine del candidato premier grillino a ricomporre i conflitti, a evocarli soltanto per riportare le parti in campo a concordia e unità d’intenti. È un fatto spesso citato da Di Maio: quando si trovava alle scuole superiori, da rappresentante degli studenti, si impegnò a bandire scioperi e occupazioni in cambio dell’impegno dei docenti a risolvere i piccoli problemi dell’istituto. Mancato consigliere nella sua Pomigliano d’Arco (59 voti), Di Maio arriva alla camera spinto dal fiume di consensi che il M5S raccoglie nel 2012. Mostra capacità di adattamento. Viene scelto per fare il vicepresidente della camera e si fidanza con Silvia Virgulti, la donna mandata da Gianroberto Casaleggio a Roma per insegnare ai neoeletti i rudimenti della comunicazione e applicare alcune nozioni di Programmazione neurolinguistica, tecnica al crocevia tra marketing, ipnosi e psicoterapia che fa forte tra venditori e motivatori aziendali. Secondo due fuoriusciti dal M5S e Casaleggio Associati come Nicola Biondo e Marco Canestrari, tuttavia, la grande ambizione di Di Maio si trasforma in una posizione concreta soltanto grazie all’opera di Matteo Renzi. È il leader Pd, infatti, che nel primo intervento alla camera da presidente del consiglio lo sceglie come interlocutore. I testimoni raccontano di un Di Maio dapprima terrorizzato, poi ringalluzzito di fronte ai pizzini del neo-premier. Da allora in poi, recita il ruolo di uomo delle istituzioni dentro il M5S, presenza rassicurante quanto sfuggente dal punto di vista ideologico, contraltare all’amico Alessandro Di Battista e alle esternazioni del padre-padrone Grillo, che pure dice a Renzi nel 2014, ripreso dallo streaming durante le consultazioni: «Di Maio è fantastico». Si vanta di aver lanciato la campagna contro le Ong nel Mediterraneo, tracciando la via poi seguita da Marco Minniti.

Il prossimo «capo politico» del Movimento 5 Stelle rischia di bruciarsi quando si avvicina troppo alle incandescenti vicende dell’amministrazione romana di Virginia Raggi, offrendole il cappello politico e facendo da garante per alcune nomine. La sindaca che ha fatto saltare gli equilibri del M5S (a partire dal fantomatico «direttorio») rischia di minare la corsa dell’uomo medio Di Maio verso la leadership. È Grillo, in quell’occasione, a coprirlo consegnandogli le chiavi della sua creatura politica. Della quale però continua a mantenere il codice d’accesso più riservato: la proprietà del simbolo. Giu. San.