«Ti ricordi quando ti ho presentato da questo palco?», dice Luigi Di Maio a Emilio Carelli abbracciandolo e ricordandogli i tempi d’oro della campagna elettorale di due anni fa che ha spinto il Movimento 5 Stelle fino al governo del paese. Il suo discorso è finito, le dimissioni da «capo politico» sono consegnate alla platea del Tempio di Adriano, composta da giornalisti e dai novanta «facilitatori» e Di Maio sceglie simbolicamente di togliersi la cravatta in pubblico («Adesso ce l’avete tutti ma all’inizio ce l’avevo solo io», dice) per presentarsi senza troppi oneri all’apertura di quella che definisce «nuova fase» del M5S, in occasione degli Stati generali di Torino dal 13 al 15 marzo.

DI MAIO NON DICE chiaramente perché si dimette, parla della nuova fase che sta aprendo e pronuncia concetti che a tratti sembrano programmatici. Il suo discorso appare una discesa in campo più che un passo indietro.

«Da oggi la nostra organizzazione è definitiva, con persone legittimate a rappresentare il M5S sul territorio – dice – Ho lavorato un anno a questo progetto, posso dire di aver portato a termine il mio compito. Da oggi inizia il percorso verso gli Stati generali. Ci sarò e porterò le mie idee».

La mossa è sorprendente anche se, dicono alcuni parlamentari che in questi mesi hanno criticato Di Maio, non proprio inattesa. Nessuno si scopre troppo: adesso il percorso di avvicinamento alle assise di Torino diventa una partita a scacchi, col reggente Vito Crimi a far da manovratore. Questo è già uno degli effetti della mossa dell’ex leader: riprendersi la scena senza i vincoli della carica. Di Maio precisa che gli Stati generali serviranno a parlare di idee, «a discutere del cosa, del chi ci penseremo dal giorno dopo». Ma in quella sede potrebbero essere riscritti i regolamenti e le modalità di scelta del prossimo «capo politico». Di sicuro il M5S sperimenta una condizione inedita: l’organizzazione in cui hanno sempre convissuto il massimo dello spontaneismo ed eccessi di leaderismo, passaggi tattici e sommovimenti caotici, si ritrova senza testa. Resta il garante e fondatore Beppe Grillo e rimane in campo il manovratore digitale Davide Casaleggio (che Di Maio omaggia come «un fratello maggiore»), ma viene a mancare per la prima volta un leader sul campo che si prenda la briga di decidere.

IL LEITMOTIV DEL DISCORSO di Di Maio è la «fiducia». Quella che gli hanno tributato ad appena 26 anni Grillo e Casaleggio, quella che pretende dai suoi colleghi, quella che sostiene di nutrire verso chi verrà dopo di lui. Ma la partita che comincia da oggi riguarda il profilo del M5S di governo. Comincia attaccando i nemici interni: «Nessuna organizzazione è stata mai sconfitta dall’esterno – dice Di Maio – Il vero nemico viene dall’interno. In questi anni abbiamo fatto molto, se avessimo evitato di andare uno contro l’altro avremmo ottenuto risultati ancora migliori». Davide Casaleggio lo appoggia: «Per ogni parola di attacco a Luigi ce ne sarebbero volute dieci di elogio – commenta – Sono certo che questa sua decisione servirà a generare consapevolezza di tutto questo»

DI MAIO MANDA un messaggio a quelli che rivendicano un M5S stabilmente schierato col centrosinistra. «Non basta riposizionarsi – dice – serve essere la bussola per i cittadini. Perché in dieci anni è cambiato tutto anche per noi». Questo cambiamento implica una presa d’atto: «Governando ci siamo resi conto che alcune delle nostre battaglie sarebbero state insostenibili e avrebbero rappresentato un danno per l’Italia», spiega ancora. Per Di Maio la natura «post-ideologica» del M5S è ancora una chiave decisiva. «Se un’idea è buona non ci interessa se sia stata etichettata come di destra o di sinistra». Descrivendo il M5S post-ideologico e di governo ribadisce la collocazione internazionale del paese e quasi di soppiatto insinua anche un nuovo approccio verso le grandi opere: «Dobbiamo essere positivi e non rivendicativi. L’Italia parla con tutti ma è sempre stato un paese dell’alleanza occidentale e del Patto atlantico. Lo stesso vale per l’Ue, che vogliamo cambiare dall’interno anche grazie al mandato che i nostri parlamentari europei hanno dato alla nuova Commissione. Non è possibile che in alcuni territori appena si parla di una nuova opera noi siamo contrari senza conoscerne i dettagli». Poi rivendica la campagna contro le Ong: «Abbiamo combattuto il business dell’immigrazione e per primi abbiamo posto il problema delle Ong nel Mediterraneo. L’approccio ideologico è ’Accogliamo tutti’ o ’Respingiamo tutti’. Molti di noi hanno ceduto alle sirene di questi due schieramenti». L’obiettivo sembra essere anche Roberto Fico, che in un post su Facebook dice che con le dimissioni di Luigi Di Maio «non cambia il percorso del M5S e l’impegno di governo». Anche se il presidente della camera auspica un «confronto schietto».

Quanto all’ambientalismo, «il futuro è nella sostenibilità», dice Di Maio. Ma avverte: «Non vi pare che queste parole siano diventate vuote? Le usano tutti. Qualsiasi processo deve essere realizzato nel tempo, altrimenti provocheremmo shock inutili alle imprese e ai lavoratori». C’è tempo per un attestato di stima per il presidente del consiglio Giuseppe Conte, che Di Maio rivendica come creazione del M5S: «È la più alta espressione del nostro concetto che i cittadini possono fare politica e si fanno Stato. In questi anni non siamo stati sempre d’accordo ma gli riconosco un’onestà intellettuale rara».