C’era anche Luigi Di Maio, ieri, all’assemblea dei senatori del M5S. Una settimana fa, mentre il «capo politico» era a New York una settantina (su un centinaio) di grillini a Palazzo Madama avevano sottoscritto un documento che chiedeva più autonomia e più potere decisionale per gli eletti. La richiesta era parsa, e in alcuni interventi era stata esplicitamente presentata in questo modo, come un attacco ai poteri assoluti di Di Maio. Che per evitare tensioni si era affrettato a circoscrivere la vicenda alle scelte di funzionamento del gruppo.

Fatto sta che da ieri Di Maio ha acconsentito: il prossimo presidente dei senatori M5S verrà eletto direttamente dai membri del gruppo, lui non avrà poteri di proposta o di ratifica formale. Le votazioni per il capogruppo si svolgeranno l’8 ottobre, e i senatori potranno scegliere tra 5 candidati tra i quali figurano l’ex ministro Danilo Toninelli e il vice capogruppo uscente Gianluca Perilli. Ci sono poi l’ex sottosegretario allo sviluppo Stefano Cioffi, il pugliese Marco Pellegrini e il senatore umbro Stefano Lucidi che incarna il nuovo corso con queste parole: «Il nostro ruolo ormai è quello di governare, l’opposizione per il M5S è un incidente che può capitare, ma la nostra aspirazione è un’altra».

Ognuno dei candidati avrà la possibilità di presentare una squadra. Di Maio ha anche detto che non fornirà alcuna indicazione di voto. Stesso meccanismo alla camera, dove la rosa dei contendenti da 11 deputati si è ristretta a tre: la pugliese Anna Macina, il governista Francesco Silvestri e Raffaele Trano, deputato di Gaeta in passato critico con Di Maio. Francesco D’Uva, capogruppo uscente che ha condotto le trattative per la nascita del governo col Pd pur restandone fuori, è stato indicato ieri dal M5S come questore alla camera.

Dopo le difficoltà della crisi e l’accentramento delle decisioni sulla formazione del governo, dunque, il leader 5S viene a patti sul funzionamento della squadra parlamentare, anche se glissa sull’altra richiesta formulata dal «documento dei 70»: consentire alla base di eleggere una segreteria nazionale di 10 persone da affiancare al «capo politico». Dal M5S assicurano concordia e unità, ma la partita a scacchi tra il vertice e la base dei parlamentari è appena cominciata.