«Non dobbiamo immaginare uno choc se vince il Movimento 5 Stelle: al governo metteremo insieme tutti gli apparati del paese e si remerà verso una direzione». Con queste parole, pronunciate da Luigi Di Maio davanti alle telecamere di Matrix, il M5S entra definitivamente nel nuovo corso.

È una fase che chiamano in modo diverso: «adulta», «pragmatica», «di governo», «moderata». È cominciata mesi fa. La rincorsa finale è arrivata con le nuove regole alla fine dell’anno scorso. Il salto è stato spiccato domenica, al meeting di Pescara del Villaggio Rousseau, quando Di Maio ha preso il microfono per annunciare i primi risultati delle «parlamentarie» e rafforzare la sua posizione (dopo le uscite di Beppe Grillo) circa la richiesta di appoggio a un eventuale governo a 5 Stelle alle altre forze politiche.

Nei prossimi giorni avremo modo di conoscere numeri importanti: gli iscritti totali alla nuova veste legale del M5S, il numero dei votanti, le preferenze per i singoli candidati. I listini proporzionali non presentano sorprese. Gli «esterni» erano stati annunciati (Gregorio De Falco, Gianluigi Paragone, Emilio Carelli, Elio Lannutti). Per il resto, i pagelloni di Rousseau traboccano di parlamentari uscenti, quelli che a grande maggioranza appoggiano Di Maio e che come lui stanno per giocarsi il tutto per tutto del secondo e ultimo mandato elettivo.

Il fatto è (e di questo si discute sottotraccia) che i venti punti illustrati dal «candidato premier» non coincidono perfettamente con il «programma ufficiale» del Movimento 5 Stelle, che aveva il limite di apparire un po’ generico ma almeno era stato approvato punto per punto sulla piattaforma Rousseau, seppure da una minoranza di iscritti certificati.
A Pescara Di Maio ha chiuso la prima fase del suo giro del paese, quella riservata alle imprese. E le frequentazioni delle ultime settimane si sentono, visto che i venti punti hanno come baricentro l’icona della «smart nation», secondo una definizione amata dal presidente francese Emmanuel Macron: «Nuovo lavoro e lavori nuovi, investimenti ad alto moltiplicatore occupazionale per creare nuove opportunità di lavoro e nuove professioni. Investimenti in nuova tecnologia, nuove figure professionali, internet delle cose, auto elettriche, digitalizzazione Pa», recita la slide.

Più avanti, si propongono ricette come «la green economy», ci si impegna alla «riduzione del debito pubblico» e non si manca di perorare la «valorizzazione del Made in Italy». Tanto che il reddito di cittadinanza si trasforma in una misura che non è né universale né incondizionata: «Non pagheremo le persone per stare sul divano – ha detto Di Maio – ma investiamo oltre 2 miliardi di euro per la riforma dei centri per l’impiego: facciamo incontrare davvero domanda e offerta di lavoro e garantiamo formazione continua a chi perde l’occupazione. Con la flex security le imprese sono più competitive e le persone escono dalla condizione di povertà».

Non poteva mancare la «sicurezza»: si annunciano 10 mila nuove assunzioni nelle forze dell’ordine e la costruzione di carceri nuove di zecca. Tra gli «sprechi e i costi della politica» si enucleano «pensioni d’oro, vitalizi, privilegi e opere inutili, spending review della spesa improduttiva».

Non si fa riferimento esplicito alla Tav, contro la quale il M5S è storicamente schierato. Ma in Val di Susa qualcuno ha notato che Marco Scibona, senatore che usa definirsi «prima No Tav e poi 5 Stelle», si trova solo al quarto posto del listino piemontese. La sua rielezione è a rischio, assieme a quella di Elisa Bulgarelli, che in questi anni è stata più volte sull’orlo dell’epurazione, se non fosse che a un certo punto della legislatura l’indicazione dall’alto è stata quella di non indugiare col pugno di ferro.