«Non c’è nessuna intenzione di lasciare l’euro», al termine di una giornata segnata da polemiche surreali, Paolo Savona chiarisce quel che era già chiarissimo nella sua audizione di mercoledì di fronte alle commissioni congiunte di Camera e Senato. Il ministro per gli Affari europei non si risparmia una comprensibile frecciata polemica, rivolta ai cronisti accorsi per la consegna del premio Socrate: «Il cigno nero può nascondersi anche in una fake news. Nell’ultimo mese ho lavorato con pazienza per sostituire la delegittimazione a mezzo stampa con la legittimazione a mezzo democrazia».

All’origine della polemica il discorso di Savona di fronte alle commissioni, nel quale il ministro aveva sostenuto che l’uscita dall’euro potrebbe arrivare come conseguenza di decisioni non italiane e che è quindi necessario avere a disposizione, per ogni evenienza, un «Piano B» capace di fronteggiare lo shock imprevisto, il «cigno nero» appunto. In molti articoli e in molte dichiarazioni critiche quel discorso era diventato per qualche magia alchemica una minaccia di abbandonare la moneta unica. Tanto che di buon mattino Di Maio si era sentito in dovere di specificare che «il governo non può immaginare nemmeno per un attimo l’uscita dall’euro. Se qualcuno vuole cacciarci non lo so, ma non metteremo gli altri in condizione di farlo». Parole, quelle del vicepremier, calorosamente applaudite dal presidente di Confindustria Vincenzo Boccia: «Sono affermazioni molto responsabili. Non ha alcun senso un piano B». Dichiarazione sibillina: non si capisce se l’insensatezza sia dovuta all’inesistenza della temuta eventualità oppure alla necessità di non nominarla.

Da questo punto di vista è molto più chiaro l’ex ministro dell’Economia Pier carlo Padoan che, criticando a sua volta Savona, spiega: «Se un ministro dice che sta pensando a un piano B, l’affermazione viene vagliata con molta attenzione dai mercati. Ci sono analisi che mostrano che nei mercati esiste il ’rischio di denominazione’, cioè si sconta una possibile situazione in cui l’Italia sia costretta a uscire dall’euro». Come dire che il rischio a cui alludeva Savona c’è, ma proprio per questo non bisogna parlarne, tanto meno in Parlamento, per non turbare i mercati. E infatti il Pd Librandi, giusto per non esagerare, assicura di star valutando un esposto contro Savona per «procurato allarme».

Quindi se c’è un rischio di shock imprevisto e ci si prepara per ogni evenienza a fronteggiarlo con discrezione si passa, come è capitato a Savona, per golpisti, se invece se ne parla francamente si diventa sabotatori e provocatori. L’unica è violentare la logica e il principio di non contraddizione come fa Padoan, che prima allude alla possibilità che l’Italia sia «costretta» a uscire dall’euro, poi se la cava spiegando che anche una situazione del genere «non implica che si debba pensare un’uscita dall’euro».

Molto più composta la reazione della Commissione europea, col commissario all’Economia Pierre Moscovici che assicura di aver accolto «con flemma» le parole di Savona. Moscovici ricorda di aver già ricevuto dal ministro dell’Economia Giovanni Tria assicurazioni sul rispetto delle regole nella legge di bilancio e conclude drastico: «L’Italia è membro essenziale dell’eurozona. Non ho nessuna preoccupazione al riguardo».

In realtà non è in atto nessuno scontro su un’uscita dall’euro che nessuno propone. Piuttosto sul come condurre la trattativa con l’Europa per ottenere cambiamenti che, sulla carta, tutti considerano necessari e sul come procedere con le riforme promesse senza per questo arrivare a rotture. Ieri, rispondendo al question time, lo stesso Savona ha chiarito che per il reddito di cittadinanza il governo punta a individuare un modello che permetta di utilizzare le risorse del Fondo sociale europeo, che tuttavia non possono essere messe in campo per misure passive, come puro sostegno al reddito. Il ministro conferma anche che sulla governance europea l’Italia è pronta a usare ogni strumento se non verranno accolte le proposte avanzate da l premier Conte.

Ma forse l’equivoco che ha provocato la tempesta sul nulla di ieri si spiega con un’altra parte del discorso di Savona: quella in cui denunciava la tendenza del capitalismo dopo il 1989 a procedere senza più alcun freno.