Industria Italiana Autobus (Iia) è nata nel 2014 dalla fusione dell’ex Fiat Iveco di Valle Ufita (Avellino) – appena chiusa da Marchionne – e della Breda Menarini di Bologna – di cui la Finmeccanica dell’epoca Moretti si voleva disfare per concentrarsi sul settore difesa.
La Iia, spalleggiata dal Mise e da Invitalia, aveva come fact totum Stefano Del Rosso, manager chiacchierato che sosteneva di avere alle spalle un grande gruppo cinese. In quattro anni l’azienda non è mai decolatta: i cinesi non si sono mai visti e Del Rosso è andato avanti con soldi pubblici e svariati piani industriali tutti disattesi.
Nel frattempo la produzione di autobus in Italia era in pratica azzerata: Comuni e Regioni comprano i mezzi all’estero. Nell’ultimo anno Iia ha vinto parecchi bandi pubblici ma a Bologna e a Flumeri si continua con la cassa integrazione e a una produzione a singhiozzo, in buona parte delocalizzata in Turchia alla controllata Karsan.
I lavoratori della Breda Menarini avevano incontrato Luigi Di Maio in campagna elettorale e la scorsa settimana. Chiedevano che la maggioranza dell’azienda tornasse pubblica.
Per questo c’era grande attesa per il tavolo al Mise di ieri. Attese non tutte soddisfatte. Di Maio infatti ha annunciato l’ingresso di Invitalia – usando un Fondo Imprese per il Sud – dell’inossidabile Domenico Arcuri nel capitale che porta la parte pubblica – contando la quota di Finmeccanica – sopra il 50 per cento.
In più Di Maio ha annunciato l’ingresso di un nuovo socio privato. Si dovrebbe trattare dell’imprenditore bolognese Valerio Gruppioni, patron delle fonderie Sira: non proprio «affine» alla produzione di autobus e chiaramente richiamato dalla stessa Invitalia e da Del Rosso che infatti è ben contento di diventare socio minoritario. Insomma, l’obiettivo di Di Maio di «dare una svolta alla reindustrializzazione e rioccupazione dei lavoratori dei due stabilimenti» è ancora lontana.
«Non è la nostra soluzione ma può essere una soluzione», commenta il responsabile auto della Fiom Michele De Palma. «Ci riserviamo di valutare con i lavoratori i nuovi assetti e il conseguente piano industriale e occupazionale, ma sin da subito è indispensabile far tornare le produzioni dalla Turchia all’Italia», conclude.