Si capisce che il Movimento 5 Stelle ha davvero fatto inversione di marcia nel pomeriggio, quando Laura Castelli, vicecapogruppo alla camera fino a pochi giorni fa in lizza per un ministero, formula apertamente la domanda che circola da giorni, sottotraccia, tra i grillini: «Come è possibile che Paolo Savona, persona di grande spessore culturale e sensibilità politica, non abbia ancora maturato la decisione di fare un passo indietro?». È il segnale che il ministro designato all’economia ha smesso di essere il simbolo della lotta di un supposto «fronte sovranista» contro l’Europa e che tra i 5 Stelle si sente il bisogno, dopo giorni di inseguimento alla Lega sul suo terreno, di smarcarsi.

LA SVOLTA AVVIENE quando molti parlamentari sono in subbuglio, contestano la gestione di Di Maio «caduto nella trappola di Salvini», non comprendono la decisione a caldo di invocare l’impeachment e la marcia indietro frettolosa del capo politico. I malumori sono emersi nell’assemblea congiunta tenutasi in serata e ancora prima in una riunione informale che ha coinvolto qualche decina di senatori celebratasi martedì sera, poco dopo che Di Maio da Napoli aveva dato la sua disponibilità a collaborare con Mattarella, descritta come drammatica. Si lamenta la mancanza di comunicazione, l’umiliazione di dover apprendere quanto accade dai giornali e di non poter rispondere alle richieste di chiarimento che vengono dalla base. Si temono ancora una volta le manovre che conducono a legarsi mani e piedi ai leghisti. «Luigi, devi ascoltare di più», dice la vicepresidente del senato Paola Taverna alla plenaria «ufficiale».

Di Maio sapeva già che non tirava buona aria. Per questo nei giorni scorsi aveva tirato il freno a mano e cercato di smorzare ogni tensione sulla manifestazione di sabato prossimo. Alla quale, comunque, si apprende che non ci sarà Roberto Fico, da principio annunciato. Quando il capo politico sale al Quirinale, riallaccia i rapporti con Mattarella e si dice disponibile a dare vita ad un governo politico cerca di scaricare la chiusura della legislatura sulla Lega. «Se non partiamo, è Salvini che se ne assumerà la responsabilità», dice chiaro e tondo Danilo Toninelli. Di Maio spiega in serata ai gruppi: «Il tema non è Savona in quanto tale ma avere ministri con la capacità di andare ai tavoli europei che sappiano contrattare». Quanto alle illazioni, ormai insistenti, sulla trappola tesa dai leghisti per incartare i grillini, concede una mezza ammissione: «Può essere – dice – che un giorno scopriremo che ci hanno fregato, ma io preferisco passare per una brava persona che per un furbo».

LA SOLUZIONE individuata «per rimanere fedeli ai nostri principi» è che a Savona, il ministro contestato, venga assegnata un’altra delega e che si trovi qualcuno che occupi la sua casella. O che, come ha ipotizzato col leghista Giancarlo Giorgetti prima di salire al Colle, il ministero venga «spacchettato». Per il resto Di Maio smentisce. Disconosce ogni progetto di alleanza elettorale con la Lega, al quale pareva avere appeso il M5S dopo lo scontro dei giorni scorsi. Nega che sia mai esistito negli accordi con Savona il «Piano B» per uscire dall’euro. Dismette i toni polemici contro Mattarella. «La battaglia non è con il Quirinale – è la sua versione – È in Europa che si gioca la battaglia delle battaglie, quella che riguarda l’economia reale e il bilancio. Non pensiamo all’uscita dall’euro ma nel contratto di governo abbiamo parlato di ricontrattazione dei parametri». Poi incoraggia gli eletti: «I presidenti di commissione saranno più importanti dei ruoli di sottogoverno, perché il grande lavoro ci aspetta il parlamento». Tutto ciò è però vincolato al fatto che la legislatura parta veramente, cioè al volere di Salvini.

NEL RIFIUTARE OGNI ipotesi di governo emergenziale, anche a brevissima scadenza, il leader grillino afferma di non aver nessun timore di andare alle urne «il prima possibile». La realtà dice, e questo è uno dei motivi dell’inquietudine che corre tra palazzo Madama e Montecitorio, che i passi falsi di questi giorni e il terreno guadagnato dalla Lega mettano a serio rischio molti collegi marginali, soprattutto al centro-nord. Territori in cui il M5S aveva prevalso per poche centinaia di voti. Adesso rischia di soccombere di fronte all’avanzata dei salviniani. Tutti saranno ricandidati, insomma, ma non è più clima di posti garantiti. «Se si dovesse votare, faremmo tornare Alessandro dall’America», promette Di Maio per tentare di rassicurare gli incerti.