«Penso che la riforma del Mes passerà per tenere in vita il governo. Ciò però non ci impedirà di dividerci al nostro interno», rifletteva un deputato grillino nella notte tra venerdì e sabato scorso, quando l’assemblea congiunta dei parlamentari era finita da poco.

La prospettiva pare contraddittoria: se il voto sul fondo salva-stati promuove la maggioranza, allora i M5S dovrebbero venirne fuori compatti. Ma lo scenario paradossale aiuta a cogliere la contraddizione. Di fronte ad una scelta che i vertici hanno presentato come un voto di fiducia sul governo difficilmente ci saranno defezioni. Al palazzo Madama, dove la maggioranza rischia davvero, delle quindicina di senatori che si erano detti contro il Mes alla fine «soltanto in tre-quattro si dovrebbero tenere su posizioni irriducibili, gli altri al massimo faranno in modo di non partecipare al voto», dice dallo staff chi tiene il taccuino della conta interna. Eppure, questo non significa che quella che da parte di molti eletti viene considerata una forzatura nei mesi prossimi non produrrà strascichi e divisioni.

Il reggente Vito Crimi ieri dispensava garanzie di affidabilità: «Il 9 dicembre si voterà sulle comunicazioni del presidente Conte – ha dichiarato a SkyTg24 – Sono convinto che ci sarà una risoluzione unitaria di maggioranza che porterà a guardare oltre». Significa che per i grillini mercoledì prossimo non ci si esprime sulla ratifica del trattato sul Mes (che verrà solo tra un anno) e che dunque Conte si presenterà alle camere con una formula che gli consentirà di presentarsi al consiglio europeo con la maggioranza ancora in tasca.

Eppure, le sorti del Movimento 5 Stelle passano per questa votazione perché è diventata un referendum sul futuro della legislatura. «Chi vota no fa cadere il governo», ha detto senza mezzi termini Luigi Di Maio nel corso della plenaria. Il messaggio netto ha consentito «governisti» di porre un ultimatum che blinda non solo il perimetro della maggioranza ma anche gli equilibri interni del M5S. Dopo che Alessandro Di Battista ha sconfessato la piccola scissione europea consumatasi qualche giorno fa, Crimi e Di Maio possono consentirsi di affondare un altro colpo e di spostare ancora un po’ le loro truppe sul terreno del pragmatismo e della compatibilità di governo.

In questo modo, le perdite sul campo, in termini di voti persi per la maggioranza, dovrebbero essere ridotte e consentirebbero un’ulteriore scrematura dentro i gruppi parlamentari, questo è il ragionamento che muove i vertici attuali: dipartite fisiologiche da consacrare all’altare della nuova fase. Anche per questo, nel mezzo dello scontro interno sul Mes, Crimi ha annunciato che proprio nel corso della prossima settimana si voterà su Rousseau per approvare le prime scelte degli Stati generali, il tentativo di sintesi che pare superata dagli eventi ma che risale solo al mese scorso. Si ratifica la nuova forma della leadership collegiale, ma non è ancora il momento di esprimersi sui nomi.

Parrebbe un azzardo, visto che la partita si gioca non attorno a mozioni congressuali e scontri sulla linea da tenera ma riguarda la tenuta della maggioranza. Ma se anche stavolta i numeri dovessero dare ragione a Conte l’operazione si rivelerebbe affilata quanto spregiudicata. E confermerebbe l’intenzione dei grillini di spostare le loro tende nel campo della politica tradizionale.