Il rapporto presentato alla camera dei deputati dall’agenzia Italia e dal Censis sull’universo di Internet e della rete («L’insostenibile leggerezza dell’essere digitale nella società della conversazione», Kundera for ever) offre diversi spunti, frutto di un utile lavoro del direttore dell’Agi Riccardo Luna svolto insieme al condirettore Marco Pratellesi e al segretario generale dell’istituto di ricerca Giorgio De Rita.

La diagnosi è chiara: l’età dell’innocenza è finita da un pezzo e cresce la consapevolezza su diritti e doveri. Tuttavia, una parte cospicua degli utenti non considera le indicazioni del recente Gdpr (il regolamento europeo sulla privacy e la protezione dei dati personali) e il 15-20% non adotta neppure le cautele minimali come il ricambio delle password. Mentre è forte il fastidio per le fake news e per i profili coperti dall’anonimato.

Tutto ciò avviene nel contesto di una persistente arretratezza, se è vero che «l’errore più grave degli ultimi 10-15 anni è stato girarsi dall’altra parte».

I mutamenti profondi della società digitale, a cominciare dalla struttura del lavoro, non sono entrati davvero nelle scelte dei gruppi dirigenti e, ancor meno, in quelle della pubblica amministrazione. E permane un consistente divario nell’accesso alla banda larga (solo un’abitazione su otto dispone di 30 mega).

Varie le voci sentite nella conferenza: dai parlamentari Anna Ascani, Andrea Giarrizzo e Antonio Palmieri che hanno rilanciato l’intergruppo per l’innovazione; ai manager dalla sharing economy (da Foodora a Airbnb) inclini alle «sorti magnifiche e progressive» di società attraversate invece da fortissime contraddizioni; al presidente di Confindustria digitale Elio Catania; alle giovani rappresentanti dei due convitati di pietra «cattivissimi» Google e Facebook usi a mostrarsi in pubblico con volti innocenti; al sottosegretario al ministero dell’istruzione Salvatore Giuliano (smartphone in classe sì o no?).

Nei vari panel del dibattito hanno preso la parola i due garanti: per la privacy Antonello Soro e per le comunicazioni Angelo Cardani; il presidente del Cnr Massimo Inguscio (sui colossali ritardi italiani sul tema dell’intelligenza artificiale, laddove i paesi più evoluti investono mille volte di più); il direttore del Laboratorio nazionale di Cybersecurity Paolo Prinetto; il commissario all’agenda digitale Diego Piacentini, che non ha chiarito esattamente che cosa sia successo da quando, in diretta da Amazon, si è seduto a Palazzo Chigi.

Hanno concluso la giornata Stefano Trumpy e Claudio Roveda –tra i «guru» del settore – e la ministra Giulia Bongiorno.

Ma la parte nuova dell’incontro è stata negli interventi di Roberto Fico, Luigi Di Maio e Vito Crimi. Quasi in una virtuale divisione dei compiti con l’alleato di governo leghista cui pare delegato il Medioevo, gli autorevoli esponenti del Movimento 5Stelle sembrano aver preso la scena del Futuro.

Se il presidente della camera ha insistito sulla cittadinanza digitale citando Stefano Rodotà e la commissione voluta dalla predecessora Laura Boldrini, se il sottosegretario con delega all’editoria ha parlato con pacatezza della necessità di avere trasparenza sugli investimenti pubblicitari nei media, il colpo di teatro è arrivato dal vicepremier.

Internet per tutti, anche se a chi non è connesso viene promessa per l’intanto solo mezz’ora di navigazione. Curioso limite orario. Soprattutto, però, Di Maio ha aperto lodevolmente una doverosa lotta politica contro la proposta europea sul copyright, un testo contro la modernità.

Che non rimanga una grida.