Il compromesso più grande, quello che ha fatto perdere più consensi sul campo. A Taranto a marzo il M5s aveva fatto cappotto: tutti i seggi di Camera e Senato erano stati vinti. La popolazione di Tamburi e di tutta la città credeva all’idea di riconversione per l’acciaieria più grande e inquinante d’Europa proposta dal ministro dell’economia in pectore Lorenzo Fioramonti, non a caso subito spostato a sottosegretario all’istruzione. La battaglia ambientalista si è presto trasformata in realpolitik. Il capo politico Luigi Di Maio da ministro dello Sviluppo ha dovuto mediare: nonostante le settimane passate a sostenere che il contratto firmato da Arcelor Mittal non fosse valido, alla fine ha chiuso l’accordo con il gigante franco-indiano. Salvi i 14mila posti di lavoro (risultato migliore di quanto fatto dal predecessore Calenda) ma produzione di acciaio confermata. Strappata solo qualche concessione in più sul piano ambientale (accelerato e più stringente, grazie anche al ministro Costa) la conclusione della vertenza ha provocato immediatamente rabbia fra i tarantini: la deputata Rosalba De Giorgi è stata contestata il giorno stesso dell’accordo, il consigliere comunale Massimo Battista (operaio Ilva e già portavoce del comitato Liberi e pensanti) ha lasciato il M5s.