Sono passati due mesi dalle elezioni, il «contratto di governo» proposto dal Movimento 5 Stelle non ha raccolto adesioni e Luigi Di Maio, alfiere della svolta governista e moderata, prova a cambiare i toni. Dopo aver chiesto il voto immediato (ancora i grillini sostengono che i tempi tecnici per votare il 24 giugno, «assieme al secondo turno delle amministrative», ci sarebbero), il leader si è fermato davanti ai microfoni appostati a Montecitorio per ribadire la linea: nessuna pressione sul Quirinale ma non esiste alternativa a governi politici.

«Non ce l’ho con Mattarella – chiarisce Di Maio – Ce l’ho con i partiti che lo hanno messo in queste condizioni. Noi abbiamo lavorato per un esecutivo che rispettasse il voto degli elettori e ci ritroviamo ancora una volta a parlare di governi tecnici o di scopo. Renzi e Berlusconi vogliono ancora una volta uno di quei governi che abbiamo visto in questi anni, che fanno favori alle lobby». Poi scarica tutto su Salvini: «L’ago della bilancia è lui, staremo a vedere – aggiunge Di Maio – Ma dopo sessanta giorni non so cosa aspettarmi più. Stanno tagliando fuori dal governo nazionale la prima forza politica del paese».

Il M5S fa appello ai «cittadini»: «L’abbiamo fatto chiedendo che si esprimano e che si possa votare subito – aggiunge Di Maio – Ma è chiaro che il M5S a quel punto può chiamare in causa la gente in altri modi». Mentre il «capo politico» paventa manifestazioni di piazza, riferendosi ad una modalità che nella storia del M5S in realtà non è mai stata adoperata, Beppe Grillo torna in scena e alza ulteriormente la posta. Intervistato dal mensile francese Putsch, il «garante» del M5S ritira fuori l’idea di quel «referendum sull’euro» di dubbio valore costituzionale per il quale i 5 Stelle ormai qualche anno fa avevano addirittura cominciato a raccogliere le firme. E lamenta il fatto che la situazione attuale sia figlia di una legge elettorale concepita apposta per impedire al M5S di governare. Di Maio, che aveva provato in tutti i modi a mostrarsi europeista e atlantista ci mette una pezza, dice che Grillo è «uno spirito libero» e sostiene genericamente che il M5S in Europa vuole «cambiare tutto».

Grillo aveva intenzione di mettere in difficoltà Di Maio? Difficile che le esternazioni del fondatore si prestino ad una lettura politicista. Tuttavia, è innegabile che piombino su un M5S che cerca un nuovo assetto e che comincia a rendersi conto davvero che le prospettive di governo non sono così vicine. «Siamo l’unica forza politica che ha dimostrato di tenere al cambiamento, passando dall’essere una forza di opposizione a una realtà pronta a governare il paese. E lo si deve a Luigi Di Maio, che è stato in grado di traghettare il Movimento 5 Stelle lungo questo tragitto», dice il senatore Gianluigi Paragone, che si schiera a difesa del capo politico e dei passaggi compiuti negli ultimi mesi.

Nei giorni scorsi si era espresso il parlamentare palermitano Giorgio Trizzino. Direttore sanitario dell’ospedale Civico di Palermo di provenienza centrista, Trizzino è uno dei notabili locali tirati dentro da Di Maio. Gente che ha una storia poco barricadera e che in molti aspettano al varco del cambio di linea. Le sue parole dunque potrebbero rappresentare un sentimento diffuso nei gruppi parlamentari. Dopo aver definito una «iattura» il ritorno al voto e auspicato un accordo col centrodestra comprendente Forza Italia ma con Berlusconi defilato, Trizzino dice che il suo era soltanto un «ragionamento in libertà», parole poco ponderate che non disegnano un vero e proprio dissenso dalla linea ufficiale. Nella serata di lunedì, dopo il terzo giro di consultazioni veloci al Quirinale, i gruppi di camera e senato si ritroveranno in assemblea. Per sventare ogni divisione interna, il neodeputato Michele Gubitosa propone una raccolta di firme. «Scriveremo a Mattarella per ribadire che vogliamo immediatamente le elezioni», spiega. Lui stesso si dice cosciente del fatto che si tratterebbe solo di un «atto simbolico» rivolto «all’esterno più che all’interno» per dimostrare, in particolar modo alla stampa, «che siamo tutti uniti e compatti, che facciamo sul serio e che nessuno di noi è legato alla poltrona».