Il ministro Di Maio è inappuntabile nella sua informativa al Senato e poi alla Camera sulla Libia. «L’instabilità minaccia i nostri interessi». Però non ci saranno interventi militari, strada già dimostratasi disastrosa in Medio Oriente: «La conferenza di Berlino è la sola strada percorribile». Su quella via diplomatica l’Italia ha fatto la sua parte, tanto che «anche la Germania lo riconosce». La Ue, riconosce il ministro, si è mostrata troppo spesso divisa da interessi contrastanti in materia di Libia. Ma ora, anche grazie all’Italia, è pronta per una missione di «monitoraggio della pace», naturalmente «sotto l’egida dell’Onu» alla quale, certo, parteciperebbe anche Roma.

STESSO RITORNELLO INTONA il ministro della Difesa Guerini di fronte alle commissioni Difesa di Camera e Senato: «S’impone una riflessione su una possibile rimodulazione del nostro sforzo militare. Si potrebbe ipotizzare un intervento internazionale per dare solidità alla cornice di sicurezza». Batte sugli stessi tasti Conte, prima di fronte al Copasir, poi dopo l’incontro a palazzo Chigi con il premier olandese Rutte. La missione europea «sarebbe un passo importante per fermare le interferenze esterne. Gli europei sono quelli che più hanno da perdere da una Libia instabile». Anche per il premier «non c’è spazio per una soluzione militare» e anche in Iraq i soldati italiani resteranno ma solo «in condizioni di sicurezza». La notte prima, a porte chiuse, rivolto ai capigruppo di maggioranza e opposizione, Conte aveva ribadito che la missione libica è possibile ma, appunto, garantendo «la sicurezza dei soldati italiani», che dovrebbero passare da 300 a mille. Non si tratterà di una forza di interposizione ma di una meno pericolosa missione di «peace monitoring».

TUTTO GIUSTO E RAGIONEVOLE. Forse troppo. «Chi, da Salvini all’estrema sinistra, potrebbe non essere d’accordo su un elenco di obiettivi come questo?», chiede infatti Casini,intervenendo nell’aula di palazzo Madama subito dopo il ministro. Proprio l’assoluta impeccabilità della linea italiana finisce per rivelarne la fragilità. Perché l’autorevolezza per esercitare una moral suasion in questo senso, affonda la lama l’ex presidente della Camera, oggi non ce l’ha l’Italia e non ce l’ha neppure l’Europa.

È la nuda verità. L’Italia sta facendo quel che può. Conte, che alle mediazioni è portato di natura, e anche Di Maio stanno svolgendo al meglio il loro ruolo, che però resta quello di comprimari. Pieni di buone, anzi ottime intenzioni. Decisi a fare il possibile per sostenere la via della diplomazia. Attivi, anzi attivissimi. Volteggianti da una incontro internazionale all’altro, e nelle pause attaccati al telefono con le cancellerie di mezzo mondo. Però privi di strumenti, non solo per risolvere davvero, ma anche per incidere in modo sostanziale sugli eventi. Quindi molto più in balia degli eventi di quanto premier e responsabile degli Esteri non vogliano, comprensibilmente, far apparire, attribuendosi un ruolo vicino a quello di registi di una trattativa che è in tutt’altre mani.

NIENTE DI MALE e neppure di strano in questo. L’Italia fa la sua parte, nei limiti imposti dalla situazione, e va da sé che cerchi comunque di esaltare il proprio ruolo. Solo che nella fiera delle buone intenzioni allestita ieri c’è un punto che potrebbe rivelarsi una trappola micidiale. L’obiettivo conclamato di inviare truppe ma in condizioni di totale sicurezza è infatti del tutto impraticabile e lo resterà anche se a Berlino verrà firmata una tregua necessariamente fragile. In quel caso, le divisioni che, come notava Casini, non potevano sussistere sulla linea “perfetta” di Di Maio emergerebbero eccome. Anzi già emergono con Renzi che vibra mazzate: «L’Italia deve giocare un ruolo strategico nel Mediterraneo e l’invio di truppe è una delle ipotesi. L’Italia farà la sua parte. Indipendentemente da quel che pensa il M5S».