L’appello di Sergio Mattarella al «senso di responsabilità» riscuote parole di apprezzamento tra i grillini in cerca di maggioranza. È il momento dell’attesa: di vedere cosa accade in casa Pd e di capire come intende muoversi davvero il centrodestra a trazione salviniana. Intanto si ritrovano oggi alle 12, nella sala conferenze dell’hotel Parco dei Principi di Roma, i circa 330 parlamentari eletti nelle liste del Movimento 5 Stelle.

CINQUE ANNI FA, un incontro analogo avvenne in un albergo del centro storico. Deputati e senatori si misero in fila per introdursi uno dopo l’altro davanti ad una webcam e rispettare la regola dello streaming e della trasparenza assoluta. Ma ci sarebbe voluto troppo tempo per presentare tutti quanti, e allora l’operazione venne interrotta. Poi arrivarono Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio, che misero un punto fermo: di accordi col Pd non se ne parlava neppure. Si decise che i capigruppo alla camera e al senato avrebbero ruotato ogni tre mesi e vennero scelti quelli del primo turno con votazione per alzata di mano. Di lì a poco cominciò la discussione, che durò mesi, sulle modalità di restituzione dello stipendio.

OGGI SI PARTIRÀ con qualche certezza in più. I vertici sono intenzionati a cambiare la modalità di restituzione: si dovrebbe versare ogni mese una cifra forfettaria, sempre la stessa, calcolata sulla scorta dell’esperienza della scorsa legislatura (in media, negli ultimi 5 anni, deputati e senatori facevano un bonifico di 2mila euro al mese). E cesserà l’obbligo di accumulare scontrini e rendicontare spese peraltro poco verificabili.

I CAPIGRUPPO RESTERANNO in carica 18 mesi e, come da statuto del nuovo M5S, verranno nominati dal «capo politico» Luigi Di Maio. Saranno i fedelissimi Danilo Toninelli a Palazzo Madama e Giulia Grillo a Montecitorio. L’idea è quella di controllare abbastanza rigidamente i parlamentari. C’è da conoscere i nuovi arrivati. Molti dei quali, a differenza dei loro predecessori, sono stati scelti per la loro competenza specifica. Ciò significa che posseggono maggiore autonomia, un retroterra professionale solido e una rete di relazioni sul territorio. Qualche timore lo suscitano anche i veterani: sono al secondo e ultimo mandato. Dunque potrebbero sentirsi legittimati a tagliare la corda. Evidentemente la tenuta dei gruppi ha a che fare anche con la costruzione delle maggioranze di governo. Se Di Maio dovesse riuscire ad entrare a palazzo Chigi, la compattezza sarebbe garantita. Ma il leader e i suoi temono lo scenario della palude in aula, lo scongelamento dei blocchi e lo sfilacciamento dei vincoli.

DEI 9 ESPULSI PREVENTIVI eletti, l’unica a ricevere la mail di convocazione alla riunione di oggi è l’emiliana Giulia Sarti, che era stata coinvolta nella vicenda delle mancate restituzioni e aveva tirato in ballo il suo ex fidanzato, dando origine a una querelle romantico-finanziaria che per un paio di giorni di campagna elettorale aveva tenuto banco. Sarti è stata perdonata. Non ha ricevuto nessun messaggio, invece, Emanuele Dessì da Frascati, eletto in senato ma sospeso dopo le polemiche legate a un suo video assieme a un membro della famiglia Spada e al diritto effettivo di assegnazione della casa popolare in cui risiede. Di Maio aveva garantito che avrebbe firmato un documento, peraltro di dubbio valore legale, di rinuncia alla proclamazione. A chi gli chiede se lo ha fatto, Dessì risponde: «Non so, non voglio parlarne. È una storia morta e sepolta».

HA INVECE FESTEGGIATO come se nulla fosse la sua elezione, benedetta dal 46,6% delle preferenze, il massone «in sonno» Catello Vitiello da Castellammare di Stabia. «Lavorerò per il mio territorio», promette, per nulla turbato dal suo allontanamento dalla lista che lo aveva candidato come esponente della «società civile».
Mentre si fanno i conti delle possibili maggioranze col pallottoliere, lui e gli altri sospesi nel limbo degli eletti ripudiati dal M5S contano eccome.