Riunione fiume, senza prendere fiato fino a giovedì, quando vedrà la luce la nota di aggiornamento al Def. Chiusi a palazzo Chigi, come in una versione attualizzata dell’Angelo sterminatore, il premier (che però oggi sarà a New York per l’assemblea generale dell’Onu e tornerà appena in tempo per il decisivo consiglio dei ministri previsto per giovedì), i ministri economici e soprattutto i tecnici cercano di conciliare esigenze inconciliabili. Trapela poco ma a metà giornata Conte, tripudiante, annuncia che la fumata «comincia a essere bianca» e anche Salvini ha l’aria soddisfatta del gattone che ha appena ingoiato un topolino.

NON ARRIVANO SEGNALI dello stesso tono dall’M5S, però. I pentastellati temono che nella sceneggiatura di Tria e della Lega, con regia di Giorgetti, la parte del topo da divorare sia destinata a loro. In discussione c’è la solita asticella del deficit: l’1,6% suggerito dalla Ue e impugnato da Tria è pochissimo, il 2,2% su cui punta Di Maio esorbitante. Come al solito le grandi promesse e i cambiamenti epocali degenerano in ragioneria, inclusa quella generale dello Stato incarnata dal ragioner generale Franco consultato in serata da Tria, e in tira e molla sul proverbiale «0 virgola qualcosa». Si potrebbe chiudere all’1,8%, secondo la sempiterna logica della mediazione mezzo e mezzo. A farne le spese sarebbe il partito di Di Maio. Per il suo reddito di cittadinanza avanzerebbe un miliardo, da aggiungere ai due e mezzo già previsti per il Rei. Troppo poco persino per rivenderselo come trionfo grazie a un’oculata propaganda.

ECCO PERCHÉ DI MAIO strepita e martella per tutto il giorno. Parte smentendo le voci su imminenti tagli alla sanità: «Non ci saranno. Neppure un taglietto. La salute dei cittadini è la cosa più importante». Aggiunge una minaccia in schietto stile Casalino, turpiloquio a parte, «Dobbiamo eliminare i dirigenti politicizzati», con l’immancabile tocco carcerario: «Nel decreto fiscale verrà previsto il carcere per chi evade». In più il pentastellato apre il fuoco anche sul Jobs Act: «Chi lo ha fatto è un assassino politico».

MA IL PEZZO FORTE quello che, se non rinviato, rischia di ribaltare il fragile vascello di Tria è la conferma della richiesta ultimativa del Movimento: «Le pensioni minime saliranno a 780 euro». Quando poi, nel pomeriggio, arriva la bomba parigina, la scelta di Macron di arrivare al 2,6% di deficit quest’anno e poi al 2,8% il prossimo per finanziare un mega taglio delle tasse alla ricerca del consenso perduto, Di Maio sbotta: «Siamo un Paese sovrano esattamente come la Francia. I soldi ci sono e si possono spendere a favore dei cittadini. In Italia come in Francia».

MA IL FRONTE che si sta componendo per accerchiare i 5S è folto. Fi, dagli spalti dell’opposizione, bersaglia il reddito a getto continuo. Dall’interno della Lega le critiche si sprecano. Va in avanscoperta Brambilla, che non ha incarichi politici ma è pur sempre il più ascoltato consigliere economico in via Bellerio, e non la manda a dire: «Il reddito di cittadinanza sarebbe un suicidio. Un Paese non può rischiare di fallire per soddisfare le aspirazioni politiche di una persona». Ma soprattutto c’è la sensazione diffusa che rispetto ad alcuni mesi fa, quando l’establishment italiano e quello europeo puntavano sui 5S per fermare la Lega, il quadro si sia rovesciato e che ora il Carroccio sia l’interlocutore privilegiato per battere i pericolosi populisti dell’M5S. È questo assedio che Di Maio sente stringersi ogni giorno di più.

NON È CERTO un assedio solo italiano. Ieri, nell’aula del Parlamento europeo, alcuni deputati tedeschi hanno apertamente accusato il presidente della Bce Draghi di aver avvantaggiato il suo Paese, gli hanno rinfacciato la lettera di Savona, accusato di mettere l’Italia a rischio uscita dall’euro, e proposto di trasformare Bankitalia in giuridicamente responsabile del rimborso del debito in caso di «uscita illegale dell’Italia dall’euro». Draghi ha risposto a muso duro. Ha negato gli addebiti, «Non è vero. Punto e basta», e ha chiarito che la proposta tedesca significherebbe «disintegrare l’euro». Attacco respinto ma che chiarisce in quale clima amichevole verrà giudicata la manovra italiana.