Luigi Di Maio è davvero pronto al clamoroso passo indietro, a pochi giorni dal voto in Emilia Romagna e Calabria? Fino a pochissimo tempo fa lo scenario veniva evocato ma pareva improbabile. Nella serata di ieri le voci hanno cominciato a circolare ancora, avvalorate da lanci d’agenzia e da un post del senatore ormai ex 5 Stelle Gianluigi Paragone, ormai spina nel fianco del M5S. «Si dimette prima delle regionali. Dicono», scrive Paragone. Se così dovesse essere, si tratterebbe di capire chi e come gestirebbe il Movimento fino agli stati generali previsti dal 13 al 15 marzo a Torino. Potrebbe restare in carica lo stesso Luigi Di Maio, ma senza la pressione che si deve ad un leader con «pieni poteri». Oppure potrebbe succedergli il reggente Vito Crimi, che da statuto ne avrebbe diritto in quanto «membro più anziano».

Questa mattina Luigi Di Maio dovrebbe incontrare la delegazione dei ministri e dei sottosegretari del Movimento 5 Stelle. Nel pomeriggio, è prevista la presentazione dei «facilitatori» regionali: una lista emersa dal voto sulla piattaforma Rousseau dalla quale il capo politico dovrebbe cooptare i nomi che preferisce, secondo una procedura che molti, non solo i soliti dissidenti, hanno contestato nei giorni scorsi. È in questa sede che il «capo politico» dovrebbe fare un «annuncio», tutto sta nel vedere quanto si tirerà fuori e con che toni. Sarebbe strano se dovesse dimettersi proprio in questa occasione, visto che il regolamento prevede che i «facilitatori» restino in carica quanto il «capo politico».

È possibile che Di Maio voglia arrivare all’assemblea nazionale di Torino facendo sentire tutto il peso del suo ruolo in questi anni ma senza la spada di Damocle della sua carica, fino a poco tempo fa considerata intoccabile. In ballo ci sono due questioni fondamentali, che spesso vanno intrecciandosi. La prima riguarda il M5S come forza parlamentare, il rapporto con gli oltre 300 eletti alla camera e al senato. Da più parti arriva la richiesta di una direzione «collegiale», più incisiva di quella prevista dalla riorganizzazione.

L’altra questione investe il rapporto degli eletti con Davide Casaleggio e l’Associazione Rousseau. Solo pochi giorni fa il ministro allo sviluppo economico ed ex capogruppo al senato Stefano Patuanelli, da più parti indicato come possibile erede di Di Maio dentro a un Movimento 5 Stelle più stabilmente inserito nella coalizione di centrosinistra, aveva rilanciato l’esigenza di uscire dalla logica dell’«uomo solo al comando» (leggasi Luigi Di Maio) ma si era posto da mediatore con Davide Casaleggio, sottolineando l’importanza della piattaforma Rousseau per il Movimento.

Ma Rousseau ha da poco imbarcato Alessandro Di Battista, il grillino che più di ogni altro non tollera la collocazione a sinistra del M5S. Se Luigi Di Maio dovesse rafforzare la sua posizione «terzista», secondo la quale i 5 Stelle non devono schierarsi a prescindere con il Pd ma decidere di caso in caso, potrebbe giocare di sponda proprio con il massimalismo di Di Battista.

Come se non bastasse, ieri sono usciti dal M5S altri due parlamentari coinvolti nella questione delle restituzioni. La deputata Nadia Aprile spiega così la sua decisione: «La situazione in cui mi sono trovata è dipesa da un’inesorabile deriva autoritaria del Movimento 5 Stelle». Assieme a lei è andato via Michele Nitti. Che raccoglie la solidarietà del fichiano Luigi Gallo, presidente della commissione cultura alla camera: «Svilire tutta la politica ad un dibattito sui soldi sta diventando nauseante – dice Gallo – Diventa sempre più urgente anche in occasione degli stati generali fare i giusti cambiamenti per riportare nel Movimento alcune delle professionalità che stiamo perdendo».