Governo facebook. Giuseppe Conte, sbarcato sul social network da una settimana, scrive un post per far sapere di essere al lavoro anche nel giorno di festa: «Non possiamo perdere un minuto». Pubblica una foto di cittadini romani alla parata che, dietro le transenne, lo reclamano per una stretta di mano, informa di aver avuto colloqui telefonici con Merkel e Macron (con il francese si è trattato di sms), promette che comincerà già al prossimo G7 (da venerdì in Canada) a «farmi portavoce degli interessi dei cittadini italiani». Con la cancelliera, che alla stampa tedesca assicura di non avere pregiudizi verso il governo italiano – «andrò incontro per lavorare con loro, non speculo sulle intenzioni» – Conte avrà un incontro bilaterale nel corso del vertice canadese.

Intanto Luigi Di Maio si fa aprire il Ministero dello sviluppo economico nel giorno di festa, lo fa perché con una diretta facebook vuole «entrare con in cittadini». Sale le scale che lo portano al suo ufficio spiegando perché di ministeri ne ha voluti due – l’altro è quello del lavoro e della previdenza sociale la cui sede è dall’altro lato della romana via Veneto, «cercherò di andare anche un po’ di là», promette. Sviluppo economico – «dove c’è tutto il mondo dell’energia, il mondo dei brevetti, ci sono tanti strumenti per migliorare la qualità della vita degli imprenditori, dei commercianti» – e lavoro – «ci sono le norme sul lavoro, le pensioni» – nella stessa delega perché, teorizza in diretta facebook il capo grillino, «il datore e il dipendente non devono essere nemici, non devono essere due realtà staccate». Un’idea aconflittuale che non deve per forza richiamare alla mente il corporativismo fascista, anche Veltroni in fondo diceva cose del genere.
Nelle piccole aziende italiane, spiega Di Maio, gli imprenditori sono un po’ operai e gli operai un po’ imprenditori. Il vice presidente del Consiglio intende cominciare dagli imprenditori. «Le iniziative da affrontare subito sono: via spesometro, via redditometro, via studi di settore. Gli imprenditori vanno lasciati in pace». E subito il Pd insorge: spesometro e studi di settore sono già stati aboliti nell’ultima legge di bilancio. Gli imprenditori sono già in pace.

Poi Di Maio, in diretta dall’interno del suo ufficio ministeriale, passa al capitolo Jobs act. Molto criticato in campagna elettorale ma citato di sfuggita nel «contratto» di governo, laddove si legge che «particolare attenzione sarà rivolta al contrasto della precarietà, causata anche dal jobs act». Di Maio in pratica recita il contratto: «Sul fronte lavoratori, il jobs act va rivisto perché c’è troppa precarietà», dice. Di abolizione i 5 Stelle non parlano più da tempo. Così come il neo ministro non dice una parola sulla bandiera grillina: il reddito di cittadinanza. Si sa che nel programma l’argomento – bocciato anche dal ministro dell’economia Tria – è stato rimandato a una fase successiva alla riforma dei centri per l’impiego. «I centri per l’impiego sono di competenza regionale – riconosce adesso Di Maio – vorrà dire che metterò insieme tutti gli assessori al lavoro delle regioni italiane faremo un tavolo e cominceremo a lavorare per migliorare i centri per l’impiego, che hanno bisogno di più personale, più risorse e una filosofia di pensiero diversa nel dare lavoro alle persone». Per fare tutto questo nel «contratto» sono previsti 2 miliardi. Sono invece 5 i miliardi che M5S e Lega prevedono di spendere per introdurre «quota 100» (somma tra l’età e i contributi) per andare in pensione e «superare» la legge Fornero. Di Maio conferma l’impegno. La stima dell’Inps è però pari al quadruplo: 20 miliardi.

Positivo il primo commento della Cisl, secondo il segretario generale aggiunto Sbarra è «condivisibile l’intento di dare stabilità, la riforma del lavoro del 2014 (che la Cisl non contrastò, ndr) è rimasta debole e inattuata proprio nella parte relativa al sostegno sociale». Critica invece la segretaria nazionale della Cgil Camusso: «Sul jobs act non bastano i titoli, il contratto di governo che hanno presentato parla pochissimo di lavoro», dichiara. E poi boccia la scelta di Di Maio di tenere insieme i due ministeri: «È una facile semplificazione che non ci permette di affrontare i nodi strutturali del paese».