È partita un’email da Luigi Di Maio diretta al presidente della repubblica per il tramite del segretario generale del Quirinale Ugo Zampetti.

Contiene la lista dei ministri del governo a 5 Stelle che l’aspirante premier grillino vorrebbe sottoporre a tutti i partiti da lunedì prossimo, quando conta di affermarsi come leader della formazione più votata e mettere le basi per l’incarico di governo.

Ieri mattina a Roma ci sarebbe stato un «incontro conoscitivo» tra Luigi Di Maio e gli aspiranti ministri che saranno presentati domani al Salone delle Fontane all’Eur.

Della compagine, assieme al generale dei carabinieri Sergio Costa, che si è occupato della «terra dei fuochi» e che è stato designato al ministero dell’ambiente, farà parte Lorenzo Fioramonti, il docente all’università di Pretoria cui è stato assegnato lo sviluppo economico.

Al docente all’università di Roma 3 Pasquale Tridico è stato proposto il ministero del lavoro. Giuseppe Conte, che insegna diritto privato, dovrebbe occuparsi del fantomatico dicastero alla «meritocrazia», che dovrebbe assorbire molte competenze della funzione pubblica.

C’è poi la ricercatrice Alessandra Pesce, collaboratrice del viceministro all’agricoltura uscente Andrea Olivero.

Non dovrebbe essere della partita Marcello Minenna, funzionario Consob che aveva accettato di svolgere un ruolo cardine nella giunta romana di Virginia Raggi. Ruppe quasi subito ma in questi anni è rimasto vicino ad alcuni pentastellati, cui ha trasmesso competenze sui temi della moneta e dell’intervento pubblico in economia. Ieri ha fatto il suo nome Roberta Lombardi, candidata M5S alla presidenza della Regione Lazio, ma solo per smentire che gli ha proposto di fare l’assessore al bilancio.

Unici grillini nella lista di Di Maio, i due collaboratori più stretti di Di Maio, Alfonso Bonafede e Riccardo Fraccaro. Il primo dovrebbe andare alla giustizia, il secondo potrebbe affiancare Di Maio come sottosegretario alla presidenza del consiglio.

Gli altri partiti sottolineano lo sgarbo istituzionale della lista. L’inquilino attuale di Palazzo Chigi, Paolo Gentiloni, ironizza: si tratta solo, dice, di un «governo ombra». «Pensi agli inciuci postvoto – gli risponde Di Maio – Lui vuole fare tutto sotto banco, noi agiamo in trasparenza».

C’è anche il fronte interno. La delega in bianco consegnata a Di Maio regge, ma i motivi di malcontento si accumulano.

Non lo ammettono i parlamentari uscenti che sono stati in gran parte ricandidati e che controllano i gruppi locali, aspettano ancora a parlare i dissidenti della prima ora.

Ma il M5S era nato inseguendo l’utopia di un organizzazione mossa da progetti e non da persone, spinta fino al punto che qualsiasi portavoce veniva considerato indifferente rispetto alla definizione dei contenuti.

Ora lo schema è diametralmente opposto: i tratti programmatici del «contratto di governo» vanno annacquandosi sempre di più.

Di Maio parla genericamente di «abbassare le tasse, tagliare gli sprechi, dare soldi alle famiglie, alzare la pensione minima, ridurre fortemente la disoccupazione giovanile». «Diciamo tutti le stesse cose, solo che noi siamo credibili», spiega.

La differenza dovrebbero farla i «supercompententi» scelti dai vertici.

Sarà un caso, ma nelle stesse ore Beppe Grillo lancia dal suo blog, ormai emancipato dalla gestione di Casaleggio, un video che ricorda le origini dei 5 Stelle, a partire dalla sua traversata a nuoto dello stretto di Messina che aprì la campagna elettorale per le reginali siciliane del 2012, scenario del primo boom elettorale grillino. «Non dimentichiamo mai il sogno da cui è partito tutto», scrive Grillo.