La trattativa tra 5 Stelle e Pd per tenere in piedi la legislatura, partita piano nel pomeriggio di ieri con un confronto tra le delegazioni sul programma, ha accelerato a ora di cena quando si sono incontrati Di Maio e Zingaretti. Il capo politico grillino ha servito un vero e proprio ultimatum: governo Conte bis o nessun governo giallo-rosso. Un’ipotesi che il segretario Pd aveva già escluso da giorni, chiedendo «discontinuità». Ma i 5 Stelle, divisi tra i gruppi parlamentari che spingono per l’accordo e alcuni esponenti di vertice come Di Battista e lo stesso Di Maio che temono i malumori della base, hanno deciso di giocare il tutto per tutto. Bruciando le tappe. In serata un post di Beppe Grillo in cui si esaltava Conte ha chiarito che i grillini puntano sulla conferma del premier uscente. Il cui discorso di rottura con Salvini ne farebbe, a sentir loro, il vero garante della svolta. Probabilmente i 5 Stelle hanno deciso di accelerare per sfruttare la passerella mondiale che Conte, premier in carica per gli affari correnti, avrà oggi al vertice G7 di Biarritz, dove dovrebbe ricevere le attestazioni di stima dei capi di governo delle grandi potenze. Ma il vertice tra Di Maio e Zingaretti si è chiuso dopo un’ora senza risposte definitive da parte del segretario Pd. Se non la conferma che per i democratici «c’è la necessità un governo di svolta, non per una questione personale ma per rimarcare una necessaria discontinuità». La formula non contiene una chiusura netta sul nome del candidato presidente del Consiglio. Ma gli uomini vicini al segretario parlano a questo punto di una trattativa «in salita» e garantiscono che il no al Conte-bis è «forte e chiaro». «Il confronto continuerà nelle prossime ore. Altri punti non sono stati affrontati», aggiungono dal Pd. Smentendo la voce secondo la quale Di Maio avrebbe offerto come contropartita a Conte la disponibilità a indicare Paolo Gentiloni – il presidente del partito, uno dei più freddi sull’accordo con i grillini – come commissario italiano in Europa. Anche le fonti 5S smentiscono l’offerta, mentre assicurano che Di Maio ha portato anche l’altra richiesta «non negoziabile», di far passare subito, a settembre, la riforma costituzionale che taglia i parlamentari. In ogni caso questa non è più un problema per il partito democratico.

L’incontro tra i capigruppo grillini Patuanelli e D’Uva, con i loro vice Silvestri e Perilli, e il trio del Pd formato dai capigruppo Marcucci e Delrio e dal vicesegretario Orlando si è tenuto invece nel primo pomeriggio alla camera. Per tutti dopo le prime due ore di confronto non ci sono «ostacoli insormontabili». Almeno non al tavolo del programma, perché fuori – dai post di Di Battista ai dubbi di Casaleggio, dalle telefonate dei leghisti ai 5S agli audio di Renzi – gli ostacoli all’accordo si moltiplicano.

Al tavolo la delegazione Pd ha portato la prossima legge di bilancio, che per il partito di Zingaretti è la prima e più urgente questione sulla quale trovare un accordo. Per evitare di partire e poi rompere tra un mese, quando la manovra che ha già quasi 30 miliardi vincolati andrà scritta sul serio. Le due delegazioni hanno convenuto che non c’è un abisso tra i cinque punti avanzati dal Pd e i dieci dettati da Di Maio; malgrado il decalogo dei 5 Stelle sia identico a quello proposto alla Lega ai tempi del «contratto di governo» sono entrambi documenti sufficientemente generici da non costituire un problema. I grillini hanno fatto sapere di aver aggiunto come urgente la questione delle concessioni autostradali, la cui revoca è ferma agli annunci di un anno fa. Ma la base grillina ricorda quando Di Maio promise di denunciare per danno erariale i governi di centrosinistra (non lo ha fatto), colpevoli di aver regalato le autostrade a Benetton. Il punto di partenza però è stato la questione del taglio dei parlamentari.

Le posizioni di partenza sembrerebbero lontanissime, avendo il Pd per tre volte votato contro la riforma costituzionale, denunciata come un tentativo di Casaleggio di «svuotare il parlamento». In realtà la distanza non c’è (più), perché i dem si sono sempre dichiarati favorevoli al taglio (magari non così radicale) di senatori e deputati, solo non accettavano di farlo senza una contestuale modifica delle funzioni di senato e camera e dei regolamenti parlamentari. Adesso accettano, accontentandosi dell’impegno dei grillini a portare avanti anche queste «garanzie costituzionali e regole sul funzionamento parlamentare». Aggiungono anche la necessità di cambiare la legge elettorale in senso proporzionale (basta togliere i seggi uninominali al Rosatellum) accogliendo una preoccupazione che fino a qui era stata solo di Leu, quella di non aggravare l’impatto sulla rappresentanza. Non è vero che con il taglio dei parlamentari deve essere fatta necessariamente una nuova legge elettorale – il parlamento ha già adattato la legge attuale – ma il Pd è convinto di potersi fidare dell’impegno grillino «perché conviene anche a loro». Il proporzionale può frenare Salvini. Per il resto le promesse su revisione del bicameralismo e dei regolamenti parlamentari saranno solennizzate in ordini del giorno e proposte di legge a firme congiunte. Ma resteranno promesse. L’unica garanzia che Zingaretti avrebbe, quella di rallentare l’ultimo sì alla riforma costituzionale, ha dovuto cederla al diktat di Di Maio: «Il taglio va fatto senza condizioni, deve entrare nel calendario di settembre, il Pd lo deve garantire». E il Pd lo garantirà.

La buona atmosfera attorno al tavolo della camera – oltre al taglio dei parlamentari si è parlato di ambiente, tema sul quale in astratto è impossibile litigare – non ha modificato l’atteggiamento di Di Maio. Il «capo politico» ha continuato a usare toni ultimativi verso il Pd: «Non è nella posizione di mettere alcuna condizione» e non ha negato di tenere aperta l’interlocuzione con la Lega. Anzi, ha provato a spiegare di aver condiviso il post in cui Di Battista ha lodato il corteggiamento leghista. Diversi parlamentari M5S, poi, hanno raccontato delle continue telefonate degli ex alleati. Nel frattempo, facendo finta che il problema sia il programma, il Pd riunirà domani ben sei tavoli programmatici per «un governo di svolta». I grillini invece, alla fine, chiederanno il via libera a Rousseau.