«La risoluzione della crisi in Libia è per l’Italia una questione importantissima di sicurezza nazionale e siamo in prima linea per favorire una soluzione diplomatica al conflitto». È un Luigi Di Maio sorridente quello che ieri ha terminato ad Algeri il suo tour di tre giorni tra Bruxelles, Istanbul, Cairo e la capitale algerina per discutere del dossier libico.

L’obiettivo è stato trovare un’intesa per il cessate il fuoco tra attori europei, regionali e soprattutto locali, il Governo di accordo nazionale di Tripoli (Gna) sostenuto dalla comunità internazionale e il parlamento di Tobruk, il cui braccio armato è l’autoproclamato Esercito nazionale libico (Eln) guidato dal controverso generale Haftar.

La ricetta italiana è facile a dirsi: agire di comune accordo, a partire dall’Unione europea, per porre fine alle violenze, ma anche per far rispettare l’embargo sulle armi che, secondo il ministro degli esteri, «continuano a creare una grande crisi umanitaria nel Nord Africa e rappresentano una grande instabilità del Mar Mediterraneo».

In questo ambito, Roma può contare sul pieno sostegno dell’Algeria, felice che Di Maio con la sua visita ufficiale sia stato il primo paese a legittimare l’impopolare governo algerino e il suo neoeletto presidente Tebboune, restando sordo alle istanze di democrazia e giustizia sociale portate avanti da febbraio da migliaia di algerini del movimento di protesta (Hirak).

Nelle stesse ore a Roma arrivava il ministro dell’interno del Gna, Fathi Bashagha, dopo il mancato vertice a Palazzo Chigi di mercoledì tra Conte e Sarraj (irritato per la presenza del rivale Haftar). Bashagha non dovrebbe vedere l’omologa Lamorgese, riporta Agenzia Nova, ma solo l’ambasciatore Usa in Tunisia, Donald Blome.

Di Maio ha ragione quando dice che sulla carta tutti gli attori coinvolti nel caos libico sono favorevoli a una soluzione per il cessate il fuoco. Lo è l’Europa, come ha più volte ripetuto il suo rappresentante per la politica estera Borrell, e non può ovviamente esserne contrario l’inviato delle Nazioni unite in Libia, Ghassan Salamè che ha condiviso, così come l’Alto Consiglio di Stato libico di Tripoli, l’appello alla tregua entro il 12 gennaio avanzato due giorni fa dal presidente turco Erdogan e dal russo Putin.

Tuttavia, le strette di mano e i sorrisi della diplomazia contrastano con quanto avviene sul terreno: le forze di sicurezza di Misurata che sostengono il Gna hanno istituito ieri il coprifuoco notturno in città a partire dall’una di notte fino alle sei del mattino. L’allerta resta alta a Misurata dove ieri l’Accademia militare è stata colpita da sei raid dell’aviazione di Haftar.

Ciononostante, una nota dello Stato maggiore della Difesa italiano confermava che la missione bilaterale dell’Italia (Miasit) «prosegue regolarmente» lì perché il nostro «contingente (di 300 militari) è apprezzato dalle autorità politiche libiche, dalla comunità internazionale e dalla popolazione locale». Dopo tutto gli italiani sono sempre “brava gente”.

Ieri le forze di Haftar hanno anche centrato con colpi di artiglieria e missili il distretto di Suq al-Juma a Tripoli, vicino all’aeroporto di Mitiga su cui l’Enl ha annunciato l’estensione di una no-fly zone. L’esercito di Tobruk ha poi annunciato di aver occupato nuove posizioni nella periferia meridionale di Tripoli e a ovest di Sirte.