«Siamo sotto attacco totale», dice il capo politico del Movimento 5 Stelle Luigi Di Maio. Il messaggio viene lanciato nel primo pomeriggio per esortare i suoi a serrare le file e a restare «compatti come una testuggine romana». L’invito è rivolto all’interno del M5S, alle voci di dissenso che emergono in giornate difficili, con dubbi che circondano l’operato dello stesso vicepremier grillino. Ma la vera novità è un’altra: questa volta le critiche interne ai 5 Stelle trovano origine nelle manifestazioni di protesta contro l’operato del governo, dalle bandiere bruciate in piazza in Salento fino alla protesta civica a Roma in piazza del Campidoglio. Questa è la vera prova inedita che deve affrontare il M5S: per la prima volta parte dell’elettorato grillino chiede conto delle promesse elettorali. Ecco da dove viene la sindrome da accerchiamento di Di Maio ed ecco perché alcuni degli eletti vacillano.

Di Maio vorrebbe relegare questi sommovimenti critici a piccoli puntigli, cerca di ridurli a forme di protagonismo: «Qualcuno di noi si sta prendendo a cuore alcune cose, alcuni dettagli che sollecitano una loro sensibilità individuale, non un nostro valore comune – afferma il leader grillino – E il risultato è che minaccia di sfilarsi dalla testuggine mettendo a repentaglio non solo il governo, ma anche le possibilità dell’Italia di avere un futuro diverso da quello che gli altri avevano già scritto per noi».

Tra quelli che si sfilano compaiono coloro che speravano di cambiare in aula il testo del decreto su sicurezza e immigrazione, che si sono visti bocciare i loro emendamenti. In primis Elena Fattori, che pubblica sull’Huffington Post un testo molto duro. «Immaginate se in uno dei tanti comizi e convegni appena qualche mese fa avessi raccontato questo», scrive Fattori. E parte con l’elenco: «Il Movimento 5 stelle non fa alleanze, ma noi cambieremo il termine, ci alleeremo con la Lega e chiameremo l’alleanza ’contratto’». E ancora: «Diremo sì alla Tap, si all’Ilva, valuteremo costi/benefici per decidere sulla Tav e anche sul Ceta ci ragioneremo. Faremo un condono fiscale e uno edilizio. Eleggeremo come presidente del senato una berlusconiana doc». Per concludere: «Se avessi raccontato tutto questo mi avrebbero preso per folle o per lo meno mi avrebbero rincorso con torce e forconi». Fattori dice di non aver paura di essere espulsa e di non avere nessuna intenzione di lasciare il M5S. Per questo rivolge un appello a Di Maio «affinché ci aiuti ad essere quello che siamo sempre stati».

Un’altra voce critica è quella del senatore Gregorio De Falco («non siamo un esercito», sottolinea l’ufficiale della marina militare) e sulla sua stessa lunghezza d’onda si trova la collega Paola Nugnes, anche lei tra le (poche) voci allarmate per la linea sull’immigrazione: «Non siamo pigiabottoni», afferma la senatrice campana. Ma proprio in vista del voto sul decreto sicurezza, dal vertice pentastellato arriva un messaggio chiaro, consegnato alle agenzie di stampa: ««Il voto contrario non è ammissibile, sarebbe il tradimento del Movimento: se lo faranno se ne assumeranno la piena responsabilità. Noi andiamo avanti come un treno. Le scelte politiche spettano al capo politico: ai ricatti non cediamo». Ma le spine riguardano anche il decreto fiscale: sul piede di guerra sono Carla Ruocco ed Elio Lannutti.

Prima di Di Maio aveva perso la pazienza la ministra del sud Barbara Lezzi che aveva aggredito a testa bassa i No Tap. Definendo il sindaco di Melendugno Marco Potì «un teppistello» e scaricando clamorosamente il movimento contro il gasdotto: «Non ho mai avuto un buon rapporto – ha detto Lezzi – Tutti parlavano di una battaglia non nel merito, ma contro le forze dell’ordine. Io però mi sono opposta. Perché se ci sono dei reati bisogna andare in procura e denunciare, ma non si organizza una battaglia contro le forze dell’ordine». Potì risponde: «Stento a riconoscere la senatrice Lezzi. Fa dichiarazioni confuse, isteriche, rabbiose e dettate forse dalla voglia di giustificarsi ed autoassolversi. Mi dispiace ma per me e molti altri cittadini non è più la stessa persona». In mezzo, tra i contestatari e la ministra, restano i parlamentari eletti in Salento e critici verso il Tap.