«Andiamo avanti, con responsabilità», dice Luigi Di Maio salendo in groppa al cavillo scovato da Giuseppe Conte per rinviare i bandi della Tav. Aggiunge il vicepremier grillino che «il paese ha bisogno di essere tranquillizzato». Poi fa l’elogio della stabilità e di un governo che «deve andare avanti per cinque anni».

È un segnale evidente del nuovo volto del Movimento 5 Stelle e del nuovo corso che sta provando ad imprimere dopo gli stop elettorali in Abruzzo e Sardegna. Sono passati 25 giorni dalla sparizione mediatica dell’agitatore Alessandro Di Battista (niente apparizioni, neppure un tweet, dal 13 febbraio scorso) e si capisce sempre di più come il M5S abbia ripreso il filo della narrazione moderata e istituzionale che Di Maio aveva iniziato a costruire da prima delle elezioni politiche, quando addirittura si produsse in una specie di investitura del governo a 5 Stelle tra coccarde tricolori e hostess in tailleur. C’era stato un momento in cui, in affanno sui social network e in calo nei sondaggi, Di Maio aveva provato a inseguire l’alleato-competitor Salvini sul suo terreno, postando pietanze, azzardando prese di posizione sul festival di Sanremo e sciorinando riferimenti alla sottocultura pop. Poi il registro è cambiato ancora.

Di Maio adesso liquida i toni esagitati di chi parla di crisi dell’esecutivo: si tratta soltanto «folklore» che non ha nulla a che fare con «quello che ci chiedono gli italiani». In effetti la curiosa drammatizzazione della «crisi» dei giorni scorsi faceva a pugni con il sentimento diffuso tra i parlamentari e con la conferenza stampa di venerdì in cui il «capo politico» grillino giurava di non avere nessuna intenzione di far cadere il governo. Che questo fosse il suo obiettivo emerge dal video-messaggio di ieri in cui annuncia col tono della vittoria l’escamotage con il quale il governo scavallerà il mese di maggio e le elezioni europee. Da questo discorso emerge che Di Maio ha scelto di presentarsi come il custode del «contratto di governo». In questa veste ha ammesso che i suoi hanno dovuto mandar giù il via libera a grandi opere o provvedimenti che non condividevano appieno come la legittima difesa. Tutto in nome della «stabilità» di cui il paese ha bisogno. Del resto, la storia del grillismo spesso è stata definita dai suoi protagonisti come «rivoluzione gentile» e persino «moderata», secondo le parole che lo stesso Beppe Grillo ha utilizzato in questi anni quando si trattava di conquistare consenso proprio presso il fu ceto medio riflessivo colpito dalla crisi economica e spaesato dal deperimento della rappresentanza politica.

È paradossale che questi toni compassati si registrino proprio a proposito di una vicenda radicale come quella della Tav. «Non vogliamo che siano sprecati i soldi dei cittadini», dice ancora Di Maio, circoscrivendo la complessa storia della lotta all’Alta velocità, al modello di sviluppo che rappresenta e alla questione democratica che pone, come questione di bilancio, quasi ragionieristica, fatta di costi e benefici da misurare con criteri tecnici. «Da qui in poi saremo misurati dagli italiani a partire dalla reale capacità di ragionare in termini di efficienza del paese», dice ad esempio la senatrice Silvana Giannuzzi. I suoi colleghi M5S che siedono in commissione lavori pubblici elogiano «il percorso di maggior buonsenso» che ha portato alla sospensione dei bandi senza che l’Italia fosse penalizzata dai «vincoli finanziari» che Di Maio aveva criticato con i toni morigerati del nuovo corso. E con tanto di nuova fidanzata, come annunciato secondo le regole della politica spettacolo proprio nei giorni della crisi con Salvini. Il tempismo ha fatto sorridere i più maliziosi.