Ieri sui social il suo incarico era il più commentato da chi cercava di farsene una ragione. Destabilizzante (da un punto di vista antico, novecentesco: la competenza), ma anche prevedibile visto il peso della Farnesina sulle politiche di un governo.

Luigi Di Maio al ministero degli Esteri. Colui che ha fatto esplodere la più grave crisi diplomatica dalla Seconda guerra mondiale con la Francia: Parigi a febbraio aveva richiamato l’ambasciatore dopo che l’allora vicepremier era volato oltralpe a stringere la mano ai gilet gialli. Pure quelli «sbagliati», dissero i soliti detrattori. Succede. Aveva provato a riparare con una lettera a Le Monde: la «millenaria democrazia» francese restava e resta il suo faro.

E se ha risparmiato ai cileni un golpe e una dittatura feroce, togliendo a Santiago i natali di Pinochet e trasferendoli al Venezuela, se ha paventato uno sbarco di migranti a Madrid e insistito (dal vivo e su Twitter) ad ammiccare all’uomo più potente della terra chiamandolo «Ping», a farci ricordare gli ultimi 14 mesi di Di Maio, ora che si appresta a varcare il sacro soglio della Farnesina, sono gli atti concreti.

Dalla Cina all’Egitto, per citarne un paio. Il 30 agosto 2018, al Cairo, con al-Sisi il ministro (in quel caso) dello sviluppo economico puntò i piedi: svolta nella ricerca della verità per Giulio Regeni o i rapporti non si normalizzeranno mai, aveva detto. Per poi normalizzarli in grande stile, lodando le imprese italiane impegnate in Egitto e auspicando nuove cooperazioni economiche con il regime torturatore seriale.

Classico caso di bispensiero, con una chiusura epica: «Al-Sisi mi ha detto che Giulio è uno di noi». Se lo dice al-Sisi.

Con la Cina, invece, ha virato su un grande classico, il cibo, presentando l’arrivo delle arance rosse siciliane a Pechino come la svolta epocale: peccato fosse già stato tutto deciso prima della sua firma. E mentre Di Maio pensava alle arance, il resto del mondo, riguardo la Cina, parlava di 5G.

Ad aspettarlo al varco ci sono anche i palestinesi. L’8 luglio 2016 postava una sua foto nel villaggio di Bi’lin e il giorno dopo a Hebron diceva che i 5Stelle al governo avrebbero riconosciuto lo Stato di Palestina. Non lo hanno fatto. Ma chissà cosa può ancora regalarci il bispensante Di Maio.