Luigi Di Maio parla con il presidente del consiglio incaricato Giuseppe Conte, poi va ai microfoni per le dichiarazioni di fine consultazione e si scopre che i dieci punti programmatici presentati dal Movimento 5 Stelle all’inizio delle trattative per la formazione del nuovo governo sono raddoppiati. Nei giorni scorsi dal gruppo di contatto sui temi formato dai capigruppo Stefano Patuanelli e Francesco D’Uva arrivavano manifestazioni di ottimismo: «Stiamo marciando spediti», dicevano.

E INVECE DI MAIO sembra ignorare gli «ampi margini di intesa» lasciati trapelare fino a ieri mattina e usa toni ultimativi, a tratti sprezzanti. Dunque, cosa è successo? La prima cosa da capire è da dove arrivano quei venti punti e chi ha deciso di presentarli, visto che Di Maio non si è visto all’ultima assemblea dei parlamentari che ha scelto per acclamazione la linea dell’accordo di governo col Partito democratico.

Se ci fermiamo al merito delle questioni sollevate, un eletto grillino si dice poco turbato: «Quei temi sono venuti fuori dalle riunioni dei vertici coi capigruppo in commissione, che dall’inizio della crisi fungono da canale di collegamento con senatori e deputati». Ma non era prevista la modalità di un uscita di questo tipo da parte di un «capo politico» che se non è commissariato poco ci manca. Prendiamo uno dei nodi politici più divisivi: i due decreti sicurezza.

Nel documento che la delegazione guidata da Di Maio ha presentato si parla genericamente di «Contrasto al fenomeno dell’immigrazione clandestina e della tratta degli esseri umani, con politiche mirate dell’Ue nei paesi di provenienza e transito. Oltre alla modifica del Regolamento di Dublino».
Dunque, sembra che Di Maio abbia esasperato le differenze con l’aspirante alleato di governo piuttosto che smussarle, rivendicando in toto le misure salviniane. Un bel colpo alla richiesta di «discontinuità» formulata da Nicola Zingaretti.

ULTERIORE ANOMALIA è il fatto che un percorso di mediazione e correzione di quelle norme è già stato digerito dalla base parlamentare. «Per Di Maio è molto imbarazzante dire che si possono cancellare del tutto i decreti sicurezza che hanno votato e sostenuto – dice ancora un eletto dei 5Stelle – Quello che è evidente a tutti è che si partirà dal recepire le osservazioni di Mattarella. Poi, vista l’inapplicabilità delle misure e i programmi di Pd e M5S sull’immigrazione enunciati in questi giorni, i decreti sicurezza verranno sconfessati». Come dire: una linea strategica che è molto diversa dal «non rinneghiamo nulla degli ultimi diciotti mesi» pronunciato da Di Maio. Il leader pare all’angolo, anche se i suoi fedelissimi, come Danilo Toninelli, esaltano il suo ruolo di «difensore dell’identità del M5S».

QUESTO È IL PUNTO: Di Maio alza i toni sul programma per appostarsi, da vicepremier, come pungolo e custode della linea delle origini, cercando di mettere in difficoltà Roberto Fico e i parlamentari a lui vicini con temi a loro cari quali l’acqua pubblica e la difesa dell’ambiente.

A proposito di identità grillina, mentre Di Maio giocava le sue carte con Conte dal Blog delle Stelle partiva l’ennesima rivendicazione della natura fondativa della piattaforma Rousseau. Anche questo è un passaggio che la maggior parte dei parlamentari guarda con fastidio: con tutta evidenza l’uso della consultazione online ha lo scopo di relegarli alla funzione di meri esecutori della volontà degli iscritti, proprio adesso che sono riusciti a ritagliarsi uno spazio di partecipazione, approfittando della difficoltà di Di Maio.

Ma bisognerà capire che tipo di quesito verrà sottoposto agli utenti del sito gestito da Casaleggio. Se si dovesse votare esplicitamente sulla figura di Conte quale presidente del consiglio, Conte ne uscirebbe rafforzato quale leader al posto di Di Maio. Se invece al vaglio degli iscritti dovessero finire proprio i 20 punti che il capo politico ha messo sul piatto con veemenza ieri, allora il senso sarebbe un altro: significherebbe dare a Di Maio la legittimazione per battere i pugni sul tavolo del governo. Sono due scenari molto diversi, che darebbero un’impronta differente al nascituro esecutivo Pd-M5S.