Oggi riprendono i confronti programmatici tra capigruppo di Pd e 5 Stelle. Ma il M5S rischia di avvitarsi in un gioco di centri concentrici e divisioni profonde che sono state covate dai diciotto mesi di rospi ingoiati durante il governo con la Lega.

Al nucleo c’è Luigi Di Maio, «capo politico» sotto esame dopo il voltafaccia di Matteo Salvini, col quale vantava rapporti leali assicurando massima affidabilità.

Di Maio ha molti dubbi e quelli che lo hanno sempre affiancato sono ancora più combattuti. Però è come se fosse ostaggio delle netta maggioranza dei gruppi parlamentari che per diversi motivi si oppone a qualsiasi ritorno di fiamma coi leghisti e sostiene il tentativo di formare il governo col Pd. Ancora, all’esterno della cerchia dei parlamentari, si muove una componente che cerca di sabotare ogni ipotesi di accordo. All’inizio della settimana, era composta soprattutto da qualche ex ministro prima molto vicino a Di Maio. Negli ultimi giorni ha raccolto l’adesione di grillini influenti ma extraparlamentari.

Prima c’è stata l’uscita di Alessandro Di Battista, salutata con speranza da esponenti della Lega in cerca di abboccamenti. Ieri ha parlato Massimo Bugani, consigliere comunale bolognese tra i pochissimi soci dell’Associazione Rousseau con Davide Casaleggio e fino a poco tempo fa in forze alla vicepresidenza del consiglio dei ministri con delega agli enti locali. «Il Pd vuole fare il governo per via della paura e non del coraggio – afferma – Lo vuole fare per paura che Salvini governi da solo, lo vuole fare per paura che vadano tutti a casa, lo vuole fare per paura di pentirsi di non averlo fatto. Nessuna di queste per me è una ragione in grado di fornire solidità ad un eventuale governo M5S-Pd».

È davvero difficile pensare che uno come Bugani parli senza consultarsi con Casaleggio. Il quale ha in mano le chiavi della piattaforma Rosseau. Dovrà passare per l’approvazione telematica l’eventuale nuovo governo?

Secondo Carla Ruocco, presidente della commissione finanze fortemente favorevole al nuovo esecutivo, prima vengono i passaggi formali: «Di fronte ad una crisi di governo che corrisponde a un momento decisivo per il futuro del paese è nostro dovere rispettare le procedure costituzionali», dice Ruocco. Al contrario il senatore Gianluigi Paragone, uno dei pochi parlamentari a esporsi contro l’ipotesi di accordo, invoca il voto online. Risponde a muso duro, Luigi Gallo. Il presidente della commissione cultura alla camera parla fuori dai denti: «I vari Bugani, Paragone potrebbero fare silenzio e rispettare il lavoro che sta facendo Di Maio in questa fase così delicata: il mandato dell’assemblea è chiaro, rassegnatevi».

Il riferimento è all’assemblea dei parlamentari di giovedì scorso, che ha consegnato per acclamazione il compito di dialogare col Pd a Francesco D’Uva, Stefano Patuanelli. Gallo è vicino a Roberto Fico, non è mai stato in linea con Di Maio, ma il fatto che si appigli alla sua figura conferma il paradosso di un leader costretto, almeno sotto la luce del sole, a seguire un mandato che non corrisponde alla sua sensibilità. I margini sono stretti anche per questo motivo. Una cosa pare sicura, se ne parla a microfoni spenti da parte di alcuni eletti: «Se provassero a tornare con il traditore Salvini, noi a nostra volta lo considereremmo un tradimento al M5S». Parole che bastano a evocare lo spettro della scissione.