I tempi della trattativa tra Movimento 5 stelle e Pd si allungano di almeno una settimana. In casa M5S, ciò sancisce che lo spazio per il voto a giugno è chiuso, anche se la finestra utile per tornare alle urne in estate risulterà ufficialmente sbarrata solo il 10 maggio. La legislatura comincia davvero e lo spazio delle manovre politiche e delle tattiche parlamentari si allarga, con le opportunità del caso e i rischi connessi.

La comunicazione viene consegnata in serata all’assemblea dei gruppi parlamentari che celebra nell’auletta dei gruppi di Montecitorio. «Dopo cinquanta giorni il forno della Lega è chiuso, abbiamo una dignità, ma io non voglio tornare al voto senza averci provato fino in fondo» spiega Luigi Di Maio in mezzo all’applauso di deputati e senatori. Il capo politico del Movimento rivendica il dialogo con Matteo Salvini ma pone il problema di Silvio Berlusconi: «Abbiamo provato in tutti i modi a dialogare con la Lega. L’unico problema lo abbiamo avuto con colui che ci definisce come Hitler». E poi rivendica coerenza con le promesse elettorali: «Ho sempre detto che se non prendevamo il 40% ci saremmo seduti al tavolo con chi ci vuole stare per parlare di temi e programma». «Vedremo se avranno il coraggio di dirci di no», diceva in effetti prima del voto Di Maio, dipingendo uno scenario un tantino meno complesso di quello di questi giorni.

Poche ore prima, il capogruppo al senato Danilo Toninelli aveva elogiato la missione esplorativa di Roberto Fico, sottolineandone «la serietà e l’equilibrio».
Il cammino è ancora pieno di incognite, ma i vertici grillini incamerano il risultato del momento: il M5S è ancora il baricentro dei giochi politici, non è stato messo da parte per larghe alleanze e può ancora rivendicare di fronte a un elettorato inquieto e spiazzato per l’apertura al Pd più che dalla fase precedente del dialogo con la Lega i suoi sforzi per rispettare gli impegni presi. «Non c’è possibilità di un governo senza di noi», scandisce ancora Di Maio all’assemblea per ribadire la centralità del M5S e motivare i parlamentari.

Interrotto il dialogo con la Lega, i grillini hanno ripreso a parlare di reddito di cittadinanza ma anche di conflitto d’interessi. È un modo per stanare il Pd ma anche per costringere Salvini a scegliere se appiattirsi su Silvio Berlusconi e su uno dei temi che hanno attraversato tutta la seconda repubblica oppure svincolarsi dal passato.

La novità non da poco è il dissenso di Paola Nugnes, inquieta da tempo e mai appiattita sui vertici, sulle forma del «contratto di governo», che sarebbe «incostituzionale» e che, avrebbe detto la senatrice nel corso dell’assemblea, «non può controllare i gruppi parlamentari». Difficile capire in che misura le sue parole diano voce ad un malessere diffuso, perché molti degli eletti come lei al secondo mandato in realtà paiono più attratti dai nuovi scenari, sperano nella partenza dei «tavoli sul programma», confidano in un nuovo clima di concordia istituzionale.

A Paola Nugnes risponde Emilio Carelli: «L’idea di un contratto è semplicemente geniale. Viene presa dal sistema tedesco che funziona benissimo, non è incostituzionale e introduce trasparenza».

Gianluigi Paragone, uno degli uomini di raccordo con Salvini, tessendo il filo delle priorità incalza i possibili nuovi alleati: «Non mi interessa con chi andremo al governo – dice Paragone raggiungendo Montecitorio – Mi interessano i contenuti, mi interessa fare l’accordo, ad esempio per ripristinare i diritti dei lavoratori. Il jobs act deve essere cambiato». E poi aggiunge con un tocco di malizia: «Il Pd non deve rinnegare nulla, se è cambiato il segretario è cambiata anche la linea politica. Una frecciata mascherata da apertura dalla quale si intuiscono le sfumature e le manovre sotto traccia che nel giro di una settimana condurranno alla direzione nazionale del Pd.