Da molto andiamo dicendo che è passato il tempo di linguaggi e immaginari che si richiamano a concetti come l’«unità della sinistra» o, peggio ancora, il «centrosinistra» (vecchio o nuovo che sia). Abbiamo detto in tutte le salse – in tanti, in Italia e in Europa – di non essere interessati a riesumare idee di sinistra che non ci sono più o che paiono ormai in «stato vegetativo permanente». Non è possibile pensare che il futuro siano una sinistra identitaria chiusa nella propria «autonomia», o all’opposto una «socialdemocrazia» impraticabile e inutile, nell’attuale contesto storico. Quel che ci interessa è camminare domandando, inventare una sinistra ancora da scrivere. È questa la risposta a quell’80% di giovani che il 4 dicembre ha bocciato la riforma Renzi-Boschi. Senza girarci intorno, è bene riconoscere che quel mare di giovani No, non ha difeso la «Costituzione più bella del mondo» per il semplice fatto che queste persone non hanno mai conosciuto la Costituzione come strumento di emancipazione quotidiana. Per queste persone, il referendum è stato soprattutto occasione di rigettare l’austerità come forma di governo delle proprie vite.

La sinistra, allora, ha senso se, a partire da questo dato generazionale e sociale, è in grado di trasformare ansia e rabbia in partecipazione ri-costituente. È importante aver trovato riscontri chiari di questa urgenza nella grande giornata del teatro Brancaccio. Anna Falcone e Tomaso Montanari, con la loro iniziativa, hanno segnato paletti rispetto ai quali non si torna indietro.

Il percorso politico cominciato al Brancaccio prende congedo dal centrosinistra come ipotesi politica. E finalmente! Del resto, ciò non significa essere minoritari o settari. Nessun veto può essere posto alla partecipazione di chicchessia: ma allo stesso tempo al Brancaccio è emerso chiaramente che l’assenza di veti non può essere un alibi, usato ad arte per rimuovere le responsabilità politiche di tanti dei protagonisti del passato più o meno recente.

Con le responsabilità dei vecchi ceti politici occorre fare i conti senza nuovismi o rottamazioni. Al contrario è necessario lanciare, su pratiche e forme della politica, una grande sfida fatta di impegno teorico e di strumenti concreti quali la Carovana delle Piazze dell’Alternativa.

Dato, però, che la mobilitazione politica non si inventa, su questo è bene insistere. Non abbiamo tempo né interesse di continuare a evocare come un mantra l’unità della sinistra, aspettando di volta in volta Godot, Gotor o Pisapia. Il nostro destino non può essere quello di diventare «frequentatori di kermesse della sinistra», che rischiano di ripetersi autoreferenziali e inconcludenti.

Non possono interessarci allusioni evocative, dunque. Abbiamo bisogno – un bisogno figlio della precarietà che condividiamo con milioni di persone! – di qualificare subito questo percorso sulla qualità delle proposte e sulla intensità della presenza nella società.

Per queste ragioni è necessario rifiutare discussioni politiciste e inconsistenti, subito ripartite dopo l’assemblea del 18. Al contrario, è urgente prendere parola solo sui contenuti e sulle pratiche: ossia su ciò che concretizziamo ogni giorno nei territori, nelle battaglie cui partecipiamo, nella Carovana delle Piazze dell’Alternativa. Sforziamoci di capire se «unità» significhi avere proposte concrete e di rottura, solo per fare qualche esempio prioritario: su «industria 4.0», precarietà e composizione del lavoro; su welfare e senso del reddito minimo garantito; su diritto all’abitare e diritto alla città da opporre alle politiche securitarie; sulla conversione ecologica dell’economia; su quel bene comune che è la conoscenza; su migrazioni e accoglienza; sulla questione meridionale; sul contrasto alle mafie; sull’Europa che vogliamo.

Lo scorso 2 dicembre Stefano Rodotà ci ricordava che «abbiamo avuto e abbiamo una grande forza che deriva dall’aver continuato a ragionare». Onoriamo la sua memoria con il nostro impegno militante. Sarebbe il miglior contributo possibile non tanto alla mitologica unità della sinistra, quanto piuttosto alla costruzione di un programma che abbia l’obiettivo di liberare parti sempre più grandi delle nostre vite dal bisogno e dal ricatto di quella violenta relazione sociale che chiamiamo capitale.