«Scissione nel Movimento 5 Stelle? Non ci penso proprio», dice Alessandro Di Battista dopo il botta e risposta con Beppe Grillo. Nelle ore successive allo scambio di domenica scorsa col fondatore e garante, Di Battista smorza i toni. Ma l’operazione che sta portando avanti nel M5S prevede che gli equilibri attuali, nella maggioranza di governo e dentro la forza politica pentastellata, debbano saltare o almeno mutare profondamente. A cominciare dalla linea politica, per la prima volta considerata contendibile al punto di farne oggetto di pubblico dibattito. Una volta si andava in tv per attaccare la Casta, oggi per lanciare messaggi al di qua della trincea.

«Vedremo chi vincerà», ha detto sibillino Di Battista domenica scorsa a «Mezz’ora in più». Beppe Grillo ha deciso di reagire con un tweet sprezzante: «C’è chi vive nel Giorno della Marmotta», ha scritto facendo riferimento alla commedia nella quale Bill Murray rimane intrappolato a vivere sempre le stesse ventiquattr’ore. Ma di tutto si può accusare Di Battista, tranne che non sia disposto a uscire dalla routine. Perché l’ex deputato ha caldeggiato una assemblea nazionale del M5S, compiendo una rottura che proprio alle origini del grillismo aveva comportato le prime epurazioni eccellenti, alla vigilia dei primi clamorosi successi elettorali del 2012. Chi veniva messo alla porta era accusato dai vertici di voler «trasformare il M5S in un partito».

Di Battista pronuncia la parola più scomoda: congresso. «Abbiamo bisogno di decidere insieme cosa vogliamo fare – ha detto Di Battista – Chiedo formalmente un congresso in cui tutte le anime del movimento a cominciare da iscritti ed eletti sul territorio dicano la loro». L’obiettivo è costruire un’«agenda politica»: «La mia visione è che si debba rafforzare il ruolo dello stato per combattere politiche globaliste e neoliberali», precisa Di Battista. Grillo lo attacca ed è l’ennesimo segnale di insofferenza verso il suo attivismo extraparlamentare. Deputati e senatori non lo vedono di buon occhio. È opinione comune che le «sospensioni» di un mese dal M5S di tre parlamentari europei colpevoli di essersi astenuti su una mozione non vincolante che conteneva un riferimento al Mes siano state un messaggio trasversale rivolto proprio a lui. Tra quelli tutt’ora in castigo, il più noto è Ignazio Corrao, che ha condiviso via social le parole di Di Battista e che, rispondendo ad un attivista, attacca: «Non credo sia l’ultimo dei problemi che il partito di maggioranza relativa non abbia alcun confronto interno, alcuna trasparenza, struttura e leadership, mentre si decidono cose che impatteranno sulle prossime generazioni».

Di Battista è stato uno di quelli che, insieme all’espulso Gianluigi Paragone (che ha detto di considerare «migliore di molti grillini»), non voleva il governo col Pd. Oggi giura di «non lavorare per buttare giù Conte», anche se «bisogna pungolare il M5S, visto che le cose migliori le abbiamo fatte nei primi sei mesi di questa legislatura». Vale a dire quando in maggioranza c’era la Lega. Non si tratta di tornare tra le braccia di Salvini (è troppo anche per Di Battista) ma di creare nuovi tormentoni su proposte qualificate. La fortuna del M5S, è l’analisi di Di Battista e dei suoi, è stata quella di ancorare la sua immagine ad alcuni provvedimenti concreti: reddito di cittadinanza, legge anticorruzione. Ora il M5S ha bisogno di ridefinire i nuovi temi identitari. Da qui l’idea di battere su conflitto d’interessi e sulle piano di assunzioni del «servizio ambientale».

Dunque, l’alleanza col Pd non è più uno scandalo ma non bisogna affezionarsi troppo a questo schema, che deve essere vincolato agli obiettivi strategici. Tutt’altra prospettiva rispetto al M5S a guida Giuseppe Conte, pure salutato da sondaggi favorevoli. Circola anche l’idea non inedita (e poco fortunata in passato) di un «direttorio», una leadership collegiale che sventi le divisioni. Ma di fronte ad uno scenario così debole, Di Battista ha buon gioco a proporre campagne mirate che determinino i passaggi politici futuri più di eventuali organismi collettivi.
Sullo sfondo c’è la questione del vincolo dei due mandati, che con lo scorrere delle settimane diventa sempre più incombente. Non è un mistero che quella regola verrà quantomeno allentata, ci saranno delle eccezioni e si formuleranno deroghe. Oggetto del contendere non è il «se» ma il «come» tutto questo avverrà. Di Battista lo sa ma spiega anche che in ballo c’è l’alterità del M5S rispetto agli altri partiti. «Se qualcuno vuole cambiare quella regole lo dirà al congresso e spiegherà le sue ragioni», dice sornione.