Nel bel mezzo della prima giornata di confronto tra Movimento 5 Stelle e Pd sulla formazione del governo, piomba un post su Facebook di Alessandro Di Battista. L’ex deputato e attuale battitore libero del grillismo ha partecipato ai vertici ristretti convocati all’indomani dello scoppio della crisi del rapporto con la Lega, nella geografia interna al M5S viene considerato uno di quelli che avrebbe preferito votare subito per gettarsi nell’agone elettorale e celebrare il suo ritorno in campo.

Solo che le urne non sono contemplate tra gli scenari convenienti dai vertici grillini. E allora Di Battista accetta di celebrare la strategia dei due forni, allo scopo di relativizzare il canale apertosi con il Pd. «Ho visto nuove aperture della Lega – scrive – mi sembra una buona cosa. Soprattutto perché non mi dispiacerebbe un presidente del consiglio del Movimento 5 Stelle. Ho visto inoltre porte spalancate da parte del Pd». Per Di Battista il M5S «ha in questo momento un potere contrattuale immenso, tutti ci cercano».

L’esternazione è intempestiva, perché praticamente in contemporanea i capigruppo del Movimento Francesco D’Uva e Stefano Patuanelli, teste d’ariete grilline al tavolo delle trattative, su richiesta di Andrea Orlando del Pd dichiarano ufficialmente chiuso il forno del governo della Lega: sono finite le ambiguità che infastidivano anche il presidente Sergio Mattarella. Anche uno come Manlio Di Stefano, che non è mai stato particolarmente affezionato alla possibilità di un cambio di maggioranza, si adegua al clima nuovo e dice che Salvini ha «tradito» dunque non è pensabile un ritorno al contratto di governo.

Beppe Grillo, poi, rivendica la scelta di andare al governo con la Lega, diciotto mesi fa, perché «in quel momento era molto meno screditata del Pd» ma al tempo stesso celebra la figura di Giuseppe Conte, promuovendolo al titolo di «Elevato», praticamente un suo parigrado. Il messaggio va letto anche in relazione a quello di Di Battista, perché Conte rappresenta, dopo il dibattito al senato di lunedì scorso, l’assoluta inconciliabilità della sua figura con quella di Salvini. E il «garante» del M5S sferra anche un attacco a Matteo Renzi – ha tradito, dice, «senza alcuna decenza la storia del suo partito» e «scorre senza togliersi mai veramente dalle scatole» – ma anche a Gentiloni, «altra pausa di nulla assoluto, difficile ricordarne il nome».

Se non ci si trovasse in mezzo ad una tessitura politica quantomeno delicata, coi tempi forzati e le parole da soppesare, ci troveremmo di fronte alla consueta strategia mediatica del Movimento 5 Stelle: suonare ogni corda possibile del sentimento politico per raccogliere consensi di diverso tipo. E infatti i capigruppo Patuanelli e D’Uva minimizzano le parole di Battista in questo senso: «Nel M5S ci sono sempre state molte voci».

Ma ad alcuni parlamentari l’interventismo del Dibba non va giù. È il caso di Doriana Sarli che esclama: «Ci sono momenti in cui sarebbe preferibile il silenzio». Molto più duro Luigi Gallo, presidente della commissione cultura vicino a Roberto Fico: «Di Battista vuole sabotare il voto di undici milioni di italiani – afferma Gallo – non ha mai creduto in questa legislatura e adesso fa di tutto per sabotarla». Molti però assicurano che il M5S «non è mai stato tanto unito come in questo momento». Se si considerano soltanto i gruppi parlamentari probabilmente è vero.

Ma in ogni caso il capogruppo leghista alla camera Riccardo Molinari coglie la palla al balzo: «L’apertura di Di Battista, che non è storicamente tra gli esponenti più vicini a noi, è il termometro che nei 5 stelle non tutti sono d’accordo con questa intesa con il Pd».