Ieri mattina a Dhaka si è celebrata la commemorazione delle 20 vittime civili e tre militari della strage di Gulshan. La cerimonia si è tenuta presso l’Army Stadium della capitale, con un palco addobbato dalle bandiere delle nazioni coinvolte nella tragedia – Bangladesh, Giappone, India, Italia, Usa – dove tra le dieci e il mezzogiorno locale sono passate a deporre corone di fiori le più alte cariche dello stato e militari, dalla premier Sheikh Hasina in giù, e i rappresentanti della diplomazia internazionale, compreso l’ambasciatore italiano a Dhaka Mario Palma.

Sotto i riflettori come mai prima d’ora e con una presenza dell’Isis finora solo paventata nel paese, ma al momento innegabile, le autorità stanno scavando nel passato dei membri del commando che venerdì sera ha attaccato la Holey Artisan Bakery di Gulshan, alla ricerca di prove dirimenti che possano confermare o escludere un’avanzata del Califfato in un paese musulmano tradizionalmente moderato, reduce da anni di instabilità sociale e guerre intestine tra estremisti locali e società civile laica.

A differenza delle decine di attentati precedenti, questa volta gli inquirenti hanno per le mani del materiale reso pubblico dall’agenzia dello Stato Islamico Amaq nelle stesse ore in cui i sette miliziani erano asserragliati all’interno del ristorante-pasticceria per quella che sembrava essere una trattativa con le forze dell’ordine per il rilascio degli ostaggi.

Ora sappiamo che non era così: le autorità bangladeshi hanno reso noto che le 20 vittime erano state uccise nei primi venti minuti del sequestro e che il commando non ha mai aperto un canale di dialogo con le forze speciali, che sarebbero entrate in azione solo all’alba di sabato. Una messinscena che ha permesso a Isis di alzare il tiro mediatico dell’attentato, divulgando in diretta su internet una serie di fotografie dei membri del commando e delle vittime all’interno della bakery, amplificando l’effetto terrore a livello globale. Le foto, che ritraggono cinque giovani armati e sorridenti davanti alla bandiera del Califfato, sono state pubblicate dai principali portali del Bangladesh, dando vita a un tentativo di riconoscimento collettivo in rete.

Al momento tre islamisti sono stati identificati come Nibras Islam, Rohan Imtiaz e Meer Sameeh Mubasser. Si tratta di tre giovani bangladeshi poco più che ventenni appartenenti all’upper class della capitale: famiglie abbienti – Rohan è addirittura figlio di un politico dell’Awami League, il partito di governo guidato da Hasina – educazione in inglese presso università d’élite in Bangladesh o in Malaysia, i tre erano spariti tra gennaio e febbraio del 2016, tanto che i parenti si erano rivolti ai social network per ritrovarli.

Ora gli investigatori stanno scandagliando il passato online dei tre, scovando trame di radicalizzazione in rete che rimandano a tre personaggi già noti alle forze dell’ordine internazionali. Islam e Imtaz seguivano su Twitter il profilo di Shami Witness, controllato da Mehdi Biswas, 24enne di Bangalore (India) arrestato nel dicembre del 2014 dalle autorità indiane con l’accusa di diffondere propaganda del Califfato. Secondo una ricerca dell’International Centre for the Study of Radicalisation del King’s College di Londra, due terzi dei «foreign fighters» dell’Isis su Twitter seguivano Shami Witness.

Imtiaz aveva anche diffuso su Facebook i discorsi di Anjem Choudary, 49 anni, cittadino britannico di origini pakistane al momento sotto processo nel Regno unito per violazione delle leggi anti-terrorismo. Choudary era molto noto online grazie alla sua prolifica pagina Youtube, dove diffondeva orazioni di carattere religioso che, secondo il quotidiano Daily Star, «avevano come obiettivo la legittimazione del Califfato».

Il terzo uomo nel dossier degli inquirenti bangladeshi è il dottor Zakir Nayek, predicatore islamico originario di Mumbai (India) e capofila dell’Islam salafita nel subcontinente, corrente estremista in aperto contrasto con la stragrande maggioranza sufi comune a Pakistan, India e bangladesh. Stralci di discorsi pronunciati nel suo programma in onda su Peace Tv erano stati diffusi su Facebook sempre da Imtiaz: passaggi, in particolare, che «esortavano i musulmani a diventare tutti terroristi».

In conferenza stampa l’ispettore di polizia Akm Shahidul Hoque, che coordina le indagini, ha chiarito che la polizia sta interrogando «due sospettati», rivelando che «uno si trova in ospedale, l’altro in custodia». Se l’uomo in ospedale è l’unico superstite del commando – la cui identità non è ancora stata diffusa – secondo il Dhaka Tribune il secondo uomo dovrebbe essere Hasnat Karim, ex professore della NorthSouth university di Dhaka, che la notte dell’attentato era alla bakery assieme a moglie e due figli per festeggiare il secondo compleanno dell’ultima arrivata. La polizia lo avrebbe trattenuto, liberando moglie e figli, in base alle evidenze dei video della nottata che mostrano un uomo calvo sul tetto del locale a confabulare coi terroristi.