Non si fermano gli scontri in Bangladesh che continuano a vedere cariche della polizia e manifestanti nelle strade. I lavoratori del tessile, sezione chiave dell’economia del Paese, chiedono un salario di cento dollari al mese e non si accontentano dell’accordo raggiunto tra padronato e governo per portare il minimo da 38 a 68 dollari (5.300 taka). Per gli industriali del tessile è un aumento importante (77%) ma per i lavoratori è troppo poco e l’accordo proposto dal governo e accettato dagli imprenditori non è ritenuto sufficiente. La polizia ha ripetutamente usato gas lacrimogeni e proiettili di gomma per spezzare i cortei che si sono difesi con lanci di pietre.
I partiti contrari all’esecutivo laico del premier Sheikh Hasina intanto soffiano sul fuoco anche perché la rivendicazione coincide con un’ondata di scioperi e cortei anti-governativi promossa dall’opposizione di destra in vista delle prossime elezioni.

Le minacce del ministro

La Bangladesh Garment Manufacturers e Exporters Association (Bgmea) comunque non intende andar oltre quella cifra (il salario base in Bangladesh è 3mila taka, meno di 50 dollari) sostenendo che per i piccoli imprenditori l’accordo è già quasi insostenibile, ma forse i lavoratori si ricordano di un accordo del luglio 2010 in cui il salario minimo era stato fissato a 50 dollari per poi scendere ben al di sotto. Le proteste, con un bilancio di decine di feriti, hanno visto la chiusura di un centinaio di fabbriche nel corso della settimana e il ministro del lavoro Rajiuddin Ahmed Raju, che ha esortato i lavoratori a tornare nelle aziende, ha promesso la mano pesante contro gli organizzatori delle proteste che, a suo dire, «distruggerebbero» l’industria traino del Bangladesh. Dopo l’accordo diverse aziende hanno riaperto i battenti.
In realtà persino i cento dollari mensili richiesti sono ben lontani da un salario dignitoso, come dimostra il calcolo fatto dall’Asia Floor Wage Alliance, un insieme di sindacati asiatici e gruppi internazionali impegnati nella difesa dei lavoratori. La Afwa ha elaborato una formula per definire cosa dovrebbe essere un salario dignitoso: calcolo che tiene conto di diversi fattori tra cui il numero di familiari, bisogni nutrizionali di base (3mila calorie al giorno per adulto), alloggio, cure mediche, istruzione e risparmio.
Questo calcolo attribuisce al Bangaldesh un valore di 25,687 taka di stipendio mensile. Al cambio attuale si tratta di 240 euro, una cifra che permetterebbe a un lavoratore bangladeshi di vivere degnamente con la sua famiglia. Ma la dignità resta lontana.

Rana Plaza, strage dimenticata

Cosa ne è infatti della vicenda del Rana Plaza, l’edifico che collassò alla periferia di Dacca sei mesi fa e considerata il più grande disastro della storia nell’industria dell’abbigliamento?
Un rapporto uscito a fine ottobre e firmato dalla Clean Clothes Campaign (che ha anche una sezione italiana) e dall’International Labor Rights Forum sostiene che c’è stato qualche progresso sul tema dei risarcimenti ma che ancora si è lontani da un risultato concreto per evitare che i lavoratori e le lavoratrici ferite in maniera permanente precipitino in una situazione di indigenza irreversibile.
C’è un accordo (predisposto dal Rana Plaza Compensation Coordination Committee, formato dai marchi internazionali, dal governo, dal Bgmea, e da sindacati e Ong locali e internazionali) per predisporre un meccanismo di calcolo e di distribuzione dei risarcimenti alle famiglie e per istituire un fondo nel quale i marchi possano versare i propri contributi.

«Grandi firme» nebulose

Ma l’impegno della maggior parte delle grandi firme della moda internazionale coinvolte resta nebuloso. Sicuramente anche questa vicenda ha finito per inasprire gli animi dei lavoratori del settore. Per saperne di più in generale sulle lotte per condizioni di lavoro sicure in Asia si può leggere il rapporto della Clean Clothes Campaign (Urgent Appeal Annual Rewiew / www.cleanclothes.org), un documento interattivo che mostra anche il modo in cui la campagna internazionale sostiene chi combatte per un lavoro più sicuro, per il salario dignitoso e per la libertà di associazione sindacale. Tra le cose più eclatanti, il fatto che l’85% dei lavoratori nel tessile sono donne e una mappa degli incidenti e delle violazioni più gravi dell’anno scorso. Una trentina.