Un infinito bene immateriale di matrice etnoantropologica. La festa di Sant’Agata, patrona di Catania, che ogni anno le dedica – dal 3 al 5 febbraio – giorni di viscerali celebrazioni tra le più partecipate al mondo fra quelle cattoliche, è patrimonio dell’umanità Unesco.

Ma innanzi a questa miniera di energia e di luci, tante sono le ombre e le contraddizioni da combattere. E se Agata – martire cristiana del III sec. d.C. – pur torturata e costretta a subire l’amputazione del seno, rifiutò di abiurare alla sua fede; e se nel 2019 le voci del parroco della Cattedrale don Barbaro Scionti e del «capovara» Claudio Consoli («la vara» sostiene il busto reliquiario che, issato dai devoti, compie il suo viaggio per Catania), sono insorte contro la radicata presenza mafiosa tra i fedeli («Sant’Agata non è ostaggio di nessuno»), quale può essere oggi il vissuto di una giovane donna di uno dei quartieri più deprivati della città come del mondo intero?

Se lo è chiesto Bernadette Wegenstein, filmmaker di origini altre – studi tra Vienna e Stanford – e autrice di Devoti Tutti, corto work in progress che indaga la persecuzione delle donne nei secoli, visto all’ultimo Sguardi Altrove.

E mentre dal buio affiora in voice over il racconto di Agata stessa, «divenuta santa il giorno in cui mi hanno uccisa», Wegenstein compie un’immersione antropologica femminista nella casa e nel sentire di una donna che narra della «stuprata» incisa sulla sua pelle a 9 anni, dell’humus familiare colpevolizzante le ragazze per le violenze subite, della «fuggita» a 14 anni, da cui ha avuto una figlia, lì presente mentre la madre confida gli abusi compiuti su di lei dal padre della ragazza. Intanto dottoresse dell’Ospedale Garibaldi parlano del diminuire delle violenze di genere nei giorni della festa, di uomini che chiedono la grazia di non essere più brutali, perché coscienti… una suora di clausura rivendica di essere libera non come le donne «là fuori», che si perdono nelle preoccupazioni sull’aspetto fisico… e don Barbaro legge le lettere di tante che rivelano (solo?) alla santa le violenze su di loro e sui figli: «Qui è lo specchio della nostra città e del nostro mondo».

Allora Wegenstein cerca Agata, si immedesima nella sua segregazione. Non è troppo buio? Non vorresti aprire quella porta? Una colomba animata porta il suo seno. E la santa, come giustamente teme la regista, potrebbe impazzire, se «lo spirituale un tempo» non covasse come lava contro ogni violenza. Quella stessa lava dell’Etna, che Agata è stata più volte capace di fermare con la meraviglia inviolabile del suo velo.